Che strano posto: per noi “casa”, dove abbiamo vissuto per 11 anni e mezzo, dove abbiamo costruito, progettato, riso, pianto… insomma dove Viviamo con la V maiuscola. Per loro un posto nuovo, strano, sconosciuto, pieno di sorprese, eppure anche per loro, in mancanza di un altro posto a cui associare questo termine, “casa”.Finalmente siamo arrivati, il tempo infinito della permanenza in Colombia, sudato fino all’ultimo minuto, è alle nostre spalle. Questo è il terzo cambiamento che Juan David e Mariana affrontano con noi. Ogni cambiamento porta problemi e ansie, ma anche opportunità di ricominciare, di correggere i nostri errori e migliorarci con un salto.
Ecco quello che scrivevamo ieri sera, prima di cercare di addormentarci, sull’aereo:
Certi appuntamenti sono un po’ come una droga, non riesci a perderli. E l’appuntamento serale con il blog é uno di questi. Anche se siamo a millanta e piú metri sull’Atlantico.
Come é andata oggi? Tutto sommato bene. Questa mattina ci siamo alzati ancora alle 7:30 perché il nostro avvocato sarebbe venuta a trovarci alle 9:00.
Alle 10:00 sono andato con l’aiutante-avvocato all’ambasciata italiana. All’arrivo, alcuni attimi di panico perché l’impiegato non trovava i nostri visti. L’aiuto avvocato, un colombiano placido, cordiale e sempre di buon umore, con la sua calma mi ha subito tranquillizato, fugando le mie nefaste visioni di aerei che partivano senza di noi.
Capita a volte che i visti non siano pronti e che sia necessario aspettare un po’. Per noi “un po'” é equivaso a un’ora e mezza.
Torniamo a El Portal dove chiudiamo le valige e mangiamo. I saluti sono commoventi. Comunque c’é un feeling con le altre famiglie con cui abbiamo condiviso non solo questi dieci giorni, ma una scelta, un desiderio, una storia e tante difficoltá.
Ale non regge alle lacrime e, in taxi, Mariana la consola tenendole la mano e cantando a ripetizione “vamos a Italia!”. Juan é piú silenzioso, cioé MOLTO piú silenzioso: non parla del tutto e guarda fuori dal finestrino.
All’aeroporto sbrighiamo le formalitá. Quello che l’ente non ti dice: 1) per il passaporto ci vuole il bollo del rinnovo, altrimenti all’ambasciata devi fare una coda interminabile per comprarlo e 2) la tassa aeroportuale che bisogna pagare per ogni colombiano sopra i 5 anni che espatria deve essere pagata in contanti.
I controlli sono abbastanza severi: i nostri zainetti vengono svuotati e esaminati e noi stessi siamo perquisiti.
L’attesa in sala d’attesa é sempre quella: ogni 30 secondi Juan chiede se é giá ora di partire fino al momento in cui annunciano l’imbarco. Fortunatamente le famiglie con bambini hanno il diritto di precedenza e saliamo abbastanza in fretta.
Vediamo scorrere fuori dagli obló, sempre piú rapidamente la pista, l’aeroporto, le case basse, le serre, il verde delle montagne, Bogotá e la Colombia.
Siamo partiti.
Alla cena ammiriamo come i nostri bimbi siano all’opposto: da una parte Mariana che ride e scherza con la mamma mentre mangia e guarda i cartoni. Dall’altra Juan con il muso che guarda in cagnesco la cena che ha deciso di non toccare per partito preso e la tv spenta per castigo.
Speriamo che con quello che ci possiamo mettere noi e quello che ci consiglieranno gli psicologi, anche Juan riesca a capire che questi atteggiamenti gli impediscono di godersi la vita.
Adesso, mentre noi crolliamo dal sonno, Mariana é sveglissima, balla e canta, contribuendo a tenere sveglia quella parte dell’aereo, mentre Juan sta videogiocando con le cuffie e chiamandomi a gran voce ogni 3×2 (contribuendo a tenere altrettanto sveglia questa parte dell’aereo).
Parlare di risveglio implica che prima c’è stato un sonno, quindi per questa mattina è un termine improprio. Comunque verso le 2 di notte colombiane Juan mi chiama battendomi sulla spalla per chiedermi qualcosa sulla tv. Borbotto qualcosa, probabilmente di inintelligibile anche in italiano, ma dopo un po’ lui torna alla carica.
Anche Ale si sveglia presto tra la scomodità del posto in aereo, le luci e il vocione di Juan… come fa un vocione così profondo a stare in un cispolino così piccolo… mah!?
Il volo procede senza intoppi e atterriamo a Parigi. Dopo un’attesa un po’ movimentata risaliamo su un altro aereo e questa volta davvero per l’Italia.
Come pranzo viene servito mezzo tramezzino (un traquartino?). Il dettaglio è importante perchè il povero Juan, al momento dell’atterraggio… senza entrare troppo nei particolari, vuoi la tensione, vuoi che l’aereo traballava un po’, vuoi il freddo, sta male.
In questo momento nessuno dell’equipaggio si muove e così cerco di pulirlo alla bell’e meglio cercando di resistere a mia volta. All’atterraggio Ale mi dà il cambio facendo il grosso del lavoro.
Dopo aver recuperato le valige usciamo e troviamo i nonni, zio Maurizio e cugina Jessica ad attenderci con un cartellone. Baci, abbracci, risa e, come da istruzioni, tutti tranquilli. Grazie anche per questo!
Mariana viene presa in braccio da Jessica e scocca subito un feeling tanto che si scambiano gli occhiali. Juan mi aiuta con il carrello (o meglio aiuta il peso del carrello facendosi trasportare), mentre andiamo a cercare dove diavolo si deve consegnare la busta etichettata “Aeroporto Italiano” che ci hanno dato all’ambasciata italiana in Colombia.
Il dilemma non si risolve se non con una telefonata al CIAI dove ci dicono che se nessuno vuole la busta, possiamo anche tenerla noi.
Nel parcheggio Juan continua a chiedere se “è questa la nostra macchina?” ad ogni macchina grigia un po’ grossa che incontra.
L’ingresso a casa è praticamente come ce lo siamo sempre immaginato: i bambini felici che entrano cercando l’Alice. L’unico particolare diverso è che snobbano la cicogna con i loro nomi che abbiamo appeso alla porta. Ma c’è così tanta roba da scoprire. I regali, la casa, gli armadi, il gatto, i vestiti… un mondo intero.
Alla cena (lasagne! Cucinate dalla mamma di Ale) siamo particolarmente indulgenti con i piccoli che ne avanzano metà (indulgenti si, ma comunque se le ritroveranno domani a pranzo nel piatto).
Anche l’allettamento fila ragionevolmente liscio e i pargoli si addormentano ragionevolmente sereni.
Siamo a un nuovo, ragionevole, inizio.