Month: July 2008

Passaportati

Oggi è stato il giorno dei passaporti. Questa mattina siamo andati al ministero degli esteri colombiano per richiedere e ottenere il passaporto. Giustamente, che ci vuole a fare questo documento? Dopotutto è un pezzo di carta con appiccicata un foto che porti tu… Infatti, a differenza di altri paesi di cui non facciamo nomi, qui basta un’oretta. Se poi il motivo della richiesta è per l’adozione, salti direttamente tutta la fila. Juan ha voluto “firmare” il suo passaporto e dato il poco spazio, gli hanno fatto scrivere solo “Juan Pagani”. E ha pure messo l’impronta digitale (nel senso del dito, non nel senso informatico), dichiarando di non volersi più pulire il dito.
Questa mattina Juan era piuttosto nervoso. Probabilmente inizia a sentire l’imminenza della partenza e sicuramente il fatto di andare in un ufficio non lo rende tranquillo. Si è calmato dopo il rientro in hotel a pranzo. Ed il pomeriggio è passato tranquillamente tra quattro chiacchiere con gli altri genitori e al parco tutti insieme.
Oggi è ricapitato, quindi possiamo iniziare a trarre qualche conclusione… Juan è un po’ marpioncello 🙂 Ieri, dopo una mattinata passata sulle sue, ha trascorso il pomeriggio con la bimba più grande (5 anni e mezzo) che era in gita con noi. Oggi invece, al parco, ha giocato quasi costantemente con una bimba di qui.
Attimi di preoccupazione al parco quando un bambino de El Portal è caduto dalla scaletta dello scivolo. Per fortuna di sedere e dopo qualche minuto era di nuovo in “pista” a giocare e a ridere con gli altri bambini.
Saremo un po’ incoscienti, ma per queste cose Mariana non ci preoccupa a differenza delle persone che ci sono intorno in cui notiamo un po’ di apprensione. Sarà che lei è molto sicura nei movimenti, che non mette le cose in bocca col rischio di soffocarsi, ma siamo molto tranquilli quando sale sullo scivolo e sulle altre giostre. (Tranquillizziamo i nonni: siamo sempre comunque lì a guardarla perché non faccia cose pericolose).
Era un po’ di tempo che lo pensavamo e visto che la giornata è andata bene abbiamo deciso di non rimandare oltre: abbiamo comprato due cellulari giocattolo ai bimbi. Avevamo capito (non era difficile) che lo desideravano e infatti hanno passato la sera facendo vedere il cellulare agli altri bambini, trascrivendo i numeri di telefono e giocandoci… adesso sono a letto tutt’e due con il cellulare (“così si carica” ha dichiarato Juan).
Bene, siamo pronti. Adesso aspettiamo… la telefonata (tanto per cambiare) che ci dice che l’autorizzazione è arrivata e quindi possiamo andare a richiedere il visto.

“Che lavoro fai, bella bambina?” “Allevo dinosauri carnivori!”
El Portal visto da fuori. Si può notare il filo spinato destinato a tenere fuori i cattivi o dentro i bambini, o forse tutt’e due.
Juan sulla giostra rotante. A sinistra si nota il braccio dell’amichetta
Visto che li teniamo così sotto controllo che pure li fotografiamo?!

La Cattedrale di sale

Oggi nuovamente sveglia alle 7:30 e lotta con Juan per fargli fare la doccia (sì doveva farsela per buonissimi motivi). Alle 9:30 viene a prenderci lo stesso autista di ieri per portarci a Zipaquiria dove si trova la cattedrale di sale. Sul pulmino incontriamo un’altra coppia con due bimbe (una di 2 anni e mezzo e l’altra di 5 e mezzo) e poi carichiamo una coppia con una bimba di 11 mesi.
Il viaggio dura un’oretta, mentre attraversiamo prati verdi, tra montagne ancor più verdi.
La Cattedrale di Sale è una chiesa scavata in una miniera di sale. Si scende 33m lungo un percorso di 750m scavato nel sale e, dopo aver passato le stazioni della via crucis, si arriva al salone della cattedrale. È un’opera immensa, imponente, dominata da una croce alta 16m e larga 10. Purtroppo, come tutti i luoghi sotterranei, non rende l’idea delle dimensioni. Troppo facilmente l’occhio si fa ingannare pensando ad una saletta, anziché un salone. Il tragitto si svolge per lo più nell’oscurità, rischiarata qui e là da rade lampade. Il fondo è sconnesso, anch’esso scavato nel sale minerale.
Pranzo in un antico edificio, forse una stalla o una stazione postale o qualcosa del genere. C’è una buona scelta di piatti tipici.
Al pomeriggio, prima di rientrare a Bogotà, giro per la cittadina vicina. Un paesino molto caratteristico con una bella chiesa in pietra e mattoni e le casette tutte colorate.
A Bogotà ci fermiamo dal nostro avvocato di fiducia che ci prepara un po’ di carte (tipo cartomante) e ci dà la lieta novella che probabilmente potremo fare richiesta del visto già martedì e quindi ritirarlo mercoledì. Ai più attenti lettori non sarà sfuggito che il visto è l’ultimo passaggio prima del rientro in Italia…
Domani andremo a fare i passaporti per i bambini. Ci aspettiamo un po’ di muro da parte di Juan che, comprensibilmente, sta iniziando a realizzare che ormai manca poco all’abbandono del paese dov’è nato, dove capisce la gente che parla, dove conosce quello che si mangia.
Ci hanno raccontato di una famiglia che è partita oggi: il bambino aveva gli occhi sgranati ed è stato nervoso per tutto il pomeriggio e prima di partire ha salutato tutti con baci e abbracci.
Quiz della domenica sera: se mentre riprendi tuo figlio gli dici “guardami in faccia” e lui chiude gli occhi, che fai?
Per abuelo Nando, questa sera ho raccontato la tua storia a Juan. Non ho avuto problemi con la traduzione perché gliel’ho raccontata in italiano. Credo anche che abbia capito qualcosa perché ogni tanto ridacchiava. Alla fine ha detto che gli è piaciuta. Per favore, un’altra. 😀

Piccoli selvaggi si civilizzano

Questa mattina alle 9:30 è venuto un pulmino a caricare 4 delle famiglie de El Portal, tra cui la nostra, per portarle a vedere prima il Museo Botero e poi il museo del niño. E della niña! È importante scriverlo, perché… ecco una cosa di cui non abbiamo ancora parlato. I nostri figli, ma anche tutti gli altri bambini che abbiamo conosciuto qui, sono fissatissimi con la distinzione “per bambino”/“per bambina”. Se su un giocattolo neutro (diciamo una batteria) c’è la foto di una bambina che suona, quella è una batteria per bambine. Se i piatti per i bambini (con disegni e colori) vengono scambiati è un incidente diplomatico. Addirittura se sulle confezioni di alimenti c’è un bambino o una bambina, quell’alimento è relegato ad essere consumato solo dal sesso corrispondente. Così, onde evitare problemi, abbiamo specificato bene che saremmo andati al museo del Niño e della Niña.
Bene torniamo al museo Botero. E’ un museo abbastanza grande che comprende sia le opere di questo artista Medellinense, sia opere della sua collezione personale donate alla città. Oltre alle opere c’è il museo della zecca e il museo dell’oro.
La visita è lenta, le opere sono molto belle. Botero ha chiaramente il genio dell’artista: il vedere e rappresentare le stesse cose che tutti gli altri pittori hanno visto e rappresentato in una maniera nuova e personale. I suoi soggetti, paciosi, pieni, colorati, morbidi, esprimono ora serenità, ora malinconia. Fine dell’angolo del critico d’arte e fine anche della visita. La maggior parte dei bambini giustamente sfungata viene ricompensata con una moneta commemorativa all’uscita del museo della zecca.
All’inizio della mostra i nostri figli partono per la tangente e spariscono all’orizzonte, Mariana aggancia un’altra famiglia per mano (che a loro volta non la mollano), mentre Juan va avanti per i fatti suoi. Li richiamiamo all’ordine e con qualche mugugno, e una salda presa per mano, obbediscono.
Può sembrare una forzatura, magari anche un po’ esagerato, costringere i due poveri angioletti (ehm!) a starci attaccati per tutta la mostra, ma pensiamo che in questo momento siano più importanti altre cose. Per Mariana non ci sembra che le sia ancora chiaro il riferimento. Quando è in gruppo lei non cerca noi, suoi genitori, ma si lascia trasportare da qualunque adulto le dia retta. Per Juan, invece, è importante che capisca che siamo famiglia tutti insieme e che quindi aspetti chi va più lento e tenga a bada la sua ansia di arrivare in fondo (o qualsiasi cosa sia).
E comunque ci sembra importante ribadire il concetto di famiglia, cioè che siamo noi 4, che siamo insieme e che le cose le facciamo insieme, perché è bello così. Le altre persone, per quanto simpatici e amichevoli, sono comunque estranei.
Mariana viaggia in braccio a mamà un po’ interessata ai quadri e molto interessata alle coccole. Juan viaggia per mano a me che cerco, con fortune alterne, di coinvolgerlo. Dopo un po’ inizia a chiedere i titoli dei quadri.
Almuerziamo in un fast food “T.I.G. Friday’s” con sovrabbondanti panini, e dopo il caffè, decisamente appesantiti, andiamo al museo dei niños.
Qui scopriamo che i genitori pagano come i figli, che pagano intero. Inoltre il museo è diviso in percorsi guidati da un operatore e non si può scorrazzare liberamente. Infine scopriamo anche che non si possono fare foto.
Be’ comunque siamo qui ed entriamo ugualmente. Un simpatico ragazzo ci guida, piccoli e grandi (che vogliano mettersi in gioco… in tutti i sensi), attraverso alcune sale dove si parla dell’alimentazione, della ginnastica, dei colori, dei sensi, della città… I bambini si divertono, alcuni grandi pure. Nella sala dei colori veniamo dipinti sulla faccia: il naso rosso da pagliaccio, i baffi da gatto, il terzo occhio sulla fronte. Juan diverse volte si ritira dal gioco perché qualcosa va storto con gli altri bambini e cerca di venire in braccio da me per essere consolato. Decisi, lo rimandiamo con gli altri perché deve imparare che nel gioco con gli altri ci sono le cose che vanno male e deve imparare a sopravvivere senza ricorrere al papà o alla mamma, e senza rinunciare a giocare.
Mariana invece è vittima di un incidente: durante una corsa, nella foga della competizione (che poi non c’era nessuna gara), viene spintonata contro una ringhiera. In lacrime viene “curata” dagli altri bambini (su istruzioni dell’operatore) con la formula magica: “sana sana culito de rana, si no sana hoy sanará mañana”.
E infine torniamo all’albergo.
Dopocena riflettiamo … prima ci vengono in mente i momenti indimenticabili (purtroppo) di quando eravamo a Medellin: le varie crisi per la strada, al centro commerciale e tutte queste belle cose di cui abbiamo scritto o anche taciuto. Poi pensiamo ai passi da gigante dei due desperados a tavola. A Medellin, all’inizio, Juan mangiava in piedi, 2 minuti e poi tornava a guardare la TV. Adesso sta seduto tutta la cena e chiede il permesso per andare a giocare. Mariana che sporcava ovunque e se stessa durante i pasti e adesso fa vedere orgogliosa la maglietta che non si è sporcata al termine del pasto… sicuramente di strada ce n’è ancora tanta, ma, guardandosi indietro, la partenza inizia ad essere un po’ distante.

La Monna Lisa in versione Botero… a furia di Bandeja Paisa…
tre quarti di famiglia (la parte che voleva farsi fotografare) fuori dal museo del niño
Mariana colora prima di addormentarsi
un papà felice!
I pigiamari
“Dai, facciamoci una foto con l’autoscatto, tutti sdraiati sul lettone!”
Solletico, che in spagnolo si scrive “Cosquillas” e si pronuncia “Coschigias”!

Monserrate

Questa mattina abbiamo preso il taxi per andare a Monserrate, un santuario costruito su un cerro di Bogotà raggiungibile in funicolare o in funivia. Mi raccomando, se vi capita, utilizzate solo un tassista di fiducia che vi aspetti al ritorno perché la zona è malfamatissima. Addirittura è sconsigliabile la salita a piedi se non di domenica perché la montagna è piena di ladri!
Almeno questo è quello che ci hanno detto qui a El Portal ed il tassista di fiducia.
Saliamo con la funicolare, un pittoresco trenino a scalini che si inerpica per la ripida salita. In cima si gode una vista mozzafiato: kilometri e kilometri di Bogotà si stendono tentacolarmente sotto i nostri occhi. Fino a dove spazia lo sguardo (e oggi spaziava per un bel po’) si vedono case e costruzioni.
La chiesa bianca domina la sommità del monte e le poche costruzioni: l’arrivo della funivia e un ristorante. Passata la chiesa c’è una sequenza di bancarelle, cianfrusaglivendoli e trappole per turisti.
Durante questa gita Mariana è entusiasta. Anzi possiamo dire che Mariana è stata allegra per tutta la giornata. Mentre Juan ha una piva lunga tre metri (Non è che mi ripeto, è che anche ieri alla Candelaria, aveva esattamente la stessa espressione). Appena entriamo nel vicolo delle bancherelle inizia la raffica di “quiero este – me gusta mucho”. L’oggetto più pittoresco richiesto da nostro figlio è stata una zampa di capra imbalsamata. Molto utile per rompere il ghiaccio con le ragazze: “Ehi, sai che ho una zampa di capra imbalsamata?”
L’umore migliora un po’ quando prendiamo la funivia per scendere (praticamente 5′) e ripeggiora una volta saliti sul taxi.
Al ritorno il taxista ci dice che domenica possiamo approfittare di una particolare combo festiva per cui possiamo vedere la cattedrale di sale a Zipaquiria e la fattoria-parco dei divertimenti di Panaca ad un prezzo ridotto. A parte la partenza alle ore 8:00, l’idea di stare fuori tutto il giorno ci spaventa ancora… facciamo che chiamiamo noi, eh!?
Oggi pomeriggio io e Mr. Piva, andiamo a vedere il film “Wall-E”, mentre Ale e Mariana restano a El Portal. Il film è carino e divertente. Al ritorno ricomincia la piva che dura tutta la sera, cena compresa. Mentre Mariana aiuta il personale dell’albergo a sparecchiare.
Abbiamo chiamato la referente che ci ha detto che tutte le nostre carte sono state inviate a Roma, alla Commissione Adozioni Internazionali, il che significa che intorno a martedì potrebbero ritornare in Colombia con l’autorizzazione all’ingresso. A quel punto sarà sufficiente fare il visto e, se lunedì avremo fatto i passaporti, potremo salire sul primo aereo in partenza per Malpensa (sperando che le pive rimangano a Bogotà… non ne sentiremo la mancanza).

Come si mangia a El Portal? Bene! C’è un piatto unico, molto ricco, sia a pranzo che a cena, birra e succo di frutta sono inclusi. I succhi sono buonissimi: li fanno loro con la frutta fresca. C’è sempre frutta e dolce… dopo cena, gli esausti genitori, per ripigliarsi un attimino si fanno un … ammazza-caffè, attingendo dal fornitissimo bar dell’hotel.

Col “bluso” nuovo, pronto per uscire.
I fidanzatini… di una volta.
Una parte di Bogotà, quello che si riesce a vedere da Monserrate.
Per convincere Juan a fare questa foto ho dovuto prenderlo in braccio e di corsa andare a mettermi in posa… l’autoscatto non perdona.
Malgrado le apparenze Mariana non sta mostrando, come trofeo, il piede di un altro bambino: è proprio il suo.

Peluqueria e Candelaria

Il record del risveglio di ieri mattina è rimasto purtroppo imbattuto, questa mattina siamo tornati su orari più canonici. Il tempo è urfido: piove a dirotto per tutta la mattina. Decidiamo che oggi potrebbe essere un buon giorno per andare alla peluqueria, cioè il parrucchiere. Così facciamo ranzare Juan e un’equipe di professionisti del capello cerca prima di fare lo shampoo a Mariana, ma decide di ritirarsi al primo caduto (professionista, non capello). Poi le fanno la piega con esito migliore fino a quando lei si stufa e i parrucchieri arretrano alzando bandiera bianca.
Risultato Mariana con i capelli lisci a caschetto… sembrava un po’ Condoliza Rice.
Nel pomeriggio il tempo migliora e decidiamo di andare a vedere il centro di Bogotà, la cosiddetta zona della Candelaria, in onore al nome di una chiesa che lì si trova.
Il viaggio in taxi è tranquillo, così tranquillo che Mariana si addormenta… o forse è vero il viceversa. Il tassista ad un certo punto mi chiede che strada vogliamo che faccia. Boh, veda lei. Comunque alla fine arriviamo, sotto un cielo grigio, in una piazza piena di piccioni, delimitata da chiese e palazzi. È la piazza Bolìvar. A parte una cappella, qui si trova la Cattedrale di Bogotà che sorge nel posto dove la leggenda vuole che sia stata celebrata la prima Messa della città.
Il quartiere delle Candelaria ci appare un po’ triste, malgrado le case colorate e le stradine pedonali. La chiesa omonima è di un giallo vivacissimo. Mariana, dalla sua posizione privilegiata in braccio alla mamma, osserva tutto. Juan, inizia a chiedere di tornare a casa dopo 100m a piedi.
Ci sono tantissime guardie, poliziotti e militari che presidiano il quartiere. Ci sono anche tanti che chiedono l’elemosina. C’è anche qualche turista che cerca di non sembrarlo troppo.
Alla fine del giro chiediamo ad una guardia privata se ci può chiamare un taxi e lei ci dice di fermarne uno qualsiasi per strada… ma è sicuro? Chiedo io. Certo risponde lui. Probabilmente è sicuro… riuscendoci: i taxi sono tutti occupati e passano 15 minuti buoni prima che riusciamo a trovarne uno.
Mariana passa il ritorno piangendo a squarciagola con un’ottima interpretazione. Dice che le fa male il dente, probabilmente è vero, ma non ha mai pianto in questa maniera. Verosimilmente il pianto è dettato più che altro dalla stanchezza. Il rientro a casa con Taxi in Colombia è sempre molto particolare: è il passeggero che si deve occupare di indicare la strada al conducente, se non vuole passare in taxi ben più tempo del dovuto. Anche oggi va così. L’omino ci chiede se questa è la zona, noi rispondiamo che si, è molto probabile. E così via fino a che, scrutando i dintorni, non riusciamo a riconoscere la sagoma famigliare del centro commerciale.
El Portal, con la sua struttura ha tanti vantaggi, ma anche qualche difettuccio. Questa sera con stereo a manetta e bambini esagitati che ballavano e genitori che dall’altra parte della struttura urlavano istruzioni ai propri figli (che naturalmente li ignoravano, innescando una retroazione positiva: urla più forti), dopo poco non vedevamo l’ora di andare a letto. Appena l’orologio ha segnato qualcosa di accettabile abbiamo ordinato la ritirata e con un po’ di stupore nostro, Juan e Mariana sono saliti in camera quasi senza fare storie.
Ripensando alla giornata, oggi è il primo giorno senza crisi. Anzi, a parte il pianto di Mariana sul taxi di ritorno è stata una giornata senza pianti. Qualche muso e imbronciatura passeggera, però niente lotte.

Eccomi qui con due belle codine che mi ha fatto la mia mamma dopo il lavoro del parrucchiere!
Turisti. Juan ha appena finito di dire: “quiero ir a casa”
Profilo!
La chiesa della Candelaria
Ci sono foto che non riesco a non scattare. È più forte di me.
La stradina della candelaria che compare in tutte le foto dei turisti. Questa però l’abbiamo fatta noi.
Piazza Bolìvar con la Cattedrale

Conformi!

Oggi, abbandonando la delicata situazione del desco familiare, sono andato a firmare per la conformità. Praticamente questo documento dichiara che tutte le carte e i vari documenti sono conformi e quindi per la Colombia tutto è a posto e concluso. Adesso i documenti devono essere apostillati, tradotti e spediti a Roma, da cui arriverà l’autorizzazione all’ingresso (grazie), poi visto e finalmente si torna in Italia. Se tutto si incastra come dovrebbe, non ci sono contrattempi e/o disguidi è possibile che prendiamo l’aereo che avevamo prenotato per il 18 e finalmente il 19 luglio 2008 potremo dormire nuovamente nel nostro letto (fuso orario permettendo).
Oggi la giornata era piovosa, ma comunque tranquilla. È iniziata bene con una sveglia alle 8:20 (merito della piscina di ieri?), mattinata in albergo e gita pomeridiana ai giardinetti e nessuna crisi!
Dobbiamo dire che da quando siamo qui i bambini sono più tranquilli, giocano con gli altri bambini e noi ci riposiamo.
Non è vero che l’erba del vicino è sempre più verde 🙂 a) i nostri bimbi non li scambieremmo con nessuno degli altri bimbi che sono adesso ne El Portal, b) sono tra i più tranquilli! c) sono i più belli 🙂
A tavola Juan aveva un po’ di piva perché … è un momento delicato e lui preferisce celebrarlo così. Allora noi abbiamo fatto un brindisi alla piva di Juan, dicendo “Cin Cin, Alla piva di Juan!!” e lui si è messo a ridere ed entusiasta si è unito al brindisi. Chissà cos’ha capito.
I nostri bimbi a volte sono buffi. Questa sera Juan ha voluto che la mamma spalmasse anche lui la crema idratante con cui aveva già spalmato Mariana e poi anche il burro e cacao proprio come alla sorella. Durante l’operazione si guardava e diceva che “Brillava”.
Sempre Juan mi fa vedere la taglia del pigiama e dice che è molto grande, che però lui è cresciuto perché ha bevuto latte e Chocolisto. Si, perché “Chocolisto te hace crecer”. Ehm, veramente è una pubblicità, cresci perché mangi Chocolisto, ma anche carne, verdura, pasta… Nonò, replica lui è il Chocolisto che fa crescere.
Questa sera, i bambini a letto, la luce spenta, ho letto la storia della “Bruja Cocinera” (la luce era spenta, ma avevamo lasciato accesa quella del bagno). Per la prima volta Mariana si è fatta accarezzare le gambe da Ale tranquillamente e al termine del racconto le ha messo le braccia intorno al collo e si è addormentata subito.

Centro Italiano di Bogotà

Questa mattina parchetto vicino e oggi pomeriggio Centro Italiano di Bogotà per andare in piscina.Al parchetto Juan è di incredibile buon umore, ride e scherza e dà persino i baci ad Ale. Che bello!
Il Centro Italiano di Bogotà è una grande struttura, per potersi iscrivere (è una specie di club) si versano 50’000 pesos (circa 25€) a famiglia e, a seconda delle versioni, si è a posto per tutta la vita oppure per un anno. L’unica accortezza per l’iscrizione è non aver fretta oppure narcotizzare i bambini.
All’interno si trova una piscina olimpionica, un bar, un ristorante, dei giochi per i bambini, i tavoli da ping pong, i campi da squash e degli orribili manichini vestiti con i costumi tradizionali delle regioni italiane. Bar e Ristorante a parte il resto è gratis (dubito che qualcuno voglia prendersi i manichini). Anzi per la piscina ti forniscono loro ciabattine, braccioli e asciugamani.
L’ansia da piscina per Juan inizia a montare in tarda mattinata e diventa opprimente (per noi) dopo pranzo. Alla fine arriva anche il taxi e riusciamo a raggiungere la meta agognata.
In acqua Mariana sta appiccicata ad Ale, ma non sembra avere particolare paura. Dopo un po’ riesce a rilassarsi e Ale la sdraia in acqua. Io mi aggiungo alla scia e le faccio fare i tuffi dal bordo.
Juan invece è piuttosto diffidente (all’inizio è Molto diffidente). Anche lui riesce un po’ a rilassarsi e, per qualche secondo, a stare a galla da solo con l’aiuto dei braccioli.
Il rientro è un crescendo di tragicità: aspettiamo parecchio il taxi, mentre Mariana inizia a provocare l’autorità costituita (noi). Quando ben siamo nel taxi, inizia i suoi capricci con urla strazianti dicendo “ahiahiahi”, mentre tenta di graffiarci.

Questa sera ci ha telefonato l’avvocato: domani andremo a ritirare la Certificazione di Conformità. Se non abbiamo capito male, una volta che questa certificazione è apostillata, tutto deve essere tradotto e quindi inviato in Italia, dopodichè passaporto e visto e poi … a casa (quella vera)!
Questa mattina Alessandra ha detto: “ehi, ci pensi che per settimana prossima è fissato il biglietto del ritorno?!”. Anche se non è detto che il 18 prenderemo davvero quel volo, fa un certo effetto pensare che ormai ci siamo: le 6 settimane previste stanno, a volte lentamente, a volte ancora più lentamente passando.

Mentre andavamo al parchetto, Juan vede un angolo di una casa e mi dice (traduco per comodità): “lì vivono i ratti!” ah sì? “sì. Lo sai che una volta un ratto mi ha morso? Qui sul dito”. Senti un pugno nello stomaco quando questi pezzi di realtà concreta, di vita vissuta di tuo figlio, affiorano. Ti strappano da un’ideale vago e astratto di esperienze negative, di vita difficile che per quanto presente è indistinto e indefinito perché nella tua vita, curato, protetto, isolato, non hai mai sperimentato niente di tutto ciò.

Ba, l’idea non è niente male, come si dirà “catetere” in Spagnolo?
Fra, grazie per avermi tolto 3 anni 🙂 (ti rispondo in una mail privata… priva di insulti)

La Colombia è anche una natura stupenda, fiori, frutti e piante esotici che crescono in ogni fazzoletto di terra.
Il parchetto vicino ha pure la sabbia… cosa vuoi di più?

El Portal

In una stradina secondaria del quartiere “bene” di Bogotà, a 30m da uno smodatamente enorme centro commerciale si trova El Portal.Per i nostri canoni e anche per le quattro stelle che porta, è una insolita costruzione: una casa bassa, senza insegne all’esterno, con il filo spinato sul massiccio muro di cinta e un pesante portone di legno.
La porta ha un corredo di lucchetti, serrature e chiavistelli da fare invidia a qualsiasi ferramenta. Le finestre, le porte sono tutte con le inferriate. Una volta entrati ci si trova sotto un portico affiancato ad un cortiletto di mattoni. Qui si trova una piccola stanza con televisione e cassoni pieni di giocattoli.
Saliti due scalini si entra nel Portal vero e proprio. L’ambiente è accogliente anche se dominato dalle tinte scure del legno ed un qualcosa di coloniale. Un salottino a destra, la sala da pranzo più avanti ed una scala di legno che porta al piano superiore dove si trovano le camere.
Una bella struttura per sole 7 camere, dove i bambini possono essere lasciati liberi di andare in giro e giocare perché tanto nessuno può uscire senza chiavi.
L’unica pecca è che l’impianto idraulico è terribilmente inefficiente per il riscaldamento dell’acqua ed il risultato è che spesso l’acqua per la doccia è gelida.

La giornata di oggi è passata. Punto. Questa mattina siamo riusciti a dormire fino alle 7:35 ed evitare che dopo Juan accendesse la televisione in camera. Accendendo il PC di prima mattina troviamo la risposta del CIAI alla mail che abbiamo mandato ieri esponendo i problemi e le dinamiche dei nostri figli che non ci aspettavamo rispetto alla descrizione che ci era stata data all’abbinamento. Non ci sono risposte concrete, ma è bello ricevere un riscontro così pronto pieno di condivisione e incoraggiamento.
Il CIAI si dimostra operoso anche burocraticamente: oggi un incaricato è venuto a ritirare i nuovi certificati di nascita per la legalizzazione.
La mattinata è passata pigramente un po’ parlando con gli altri genitori, un po’ supervisionando i bimbi mentre giocavano, un po’ giocando con loro.
Oggi pomeriggio avevamo in programma di andare alla piscina del Centro Italiano. Fa un po’ ridere “Centro Italiano”, ma di fatto è una struttura nata per offrire alle coppie italiane che si trovano qui per scopi adottivi, un riferimento e delle possibilità di svago. Ci hanno detto che oltre alla piscina c’è un ristorante con la pizza vera, i giochi per i bambini e la sabbia.
I nostri piani sono stati sconvolti da due eventi: abbiamo dovuto portare Mariana dal pediatra nel pomeriggio e il Centro Italiano, il lunedì… è chiuso.
Mariana aveva un occhio gonfio da qualche giorno e pure le faceva male un dentino. Così Alessandra si è fatta accompagnare dalla proprietaria de El Portal da un veterinario pediatra.
La pediatra ha fatto una visita completa di Mariana (l’occhio, l’occhio e il dente! Perché me la pesa?) e alla fine le ha prescritto delle gocce da mettere nell’occhio. Per il dente ha consigliato di andare dal dentista che ha lo studio nella stessa struttura.
Nel dente c’era una carie e così, senza prenotazione e senza attese, il dentista ha proposto di toglierla seduta stante. Be’ già che ci siamo… perché no.
Mariana, ignara, ha iniziato con qualche smorfietta ammiccante a collaborare tenendo bene aperta la bocca. Tutto è andato per il meglio fino a che le hanno fatto l’iniezione per l’anestesia. A quel punto ha iniziato a piangere e divincolarsi e c’è voluta un’infermiera oltre ad Ale e al dentista per tenerla ferma.
Il dentista è costato veramente poco: carie e otturazione 30’000 pesos che sono circa 13€. Per contro appena fuori dallo studio, probabilmente in combutta con il dentista, c’è una tizia del personale che distribuisce lecca lecca ai bambini. Credo che il termine corretto sia “associazione a delinquere”.
L’esperienza è stata pesante sia per Ale che per Mariana che quando è tornata è crollata esausta sul letto.
Al suo risveglio siamo andati al centro commerciale per comprarle a) il gelato (raccomandato dal dentista) e b) le gocce per l’occhio.
Ci trasciniamo dietro, nel vero senso della parola, un Juan con una piva lunga così, perché non siamo andati al parco. Raccontare dell’esperienza del gelato fa ancora prudere le mani. Juan musone è muto più del solito (che già non è loquace) quindi prima di rispondere che anche lui vuole il gelato ne passa. Alla fine, mentre stiamo facendo lo scontrino dice “Helado Verde”. Prendo due coppette, lui inizia a immusonirsi al cubo perché vuole il cono. Prendiamo la fragola per Mariana, mentre continuo a chiedergli se il gelato lo vuole o no. Il dialogo con un muro dà più soddisfazione. Alla fine, vista l’assenza di risposte e la certezza che non voglia più mangiare il gelato, prendiamo un gusto che piace a me e ad Ale e ce lo mangiamo. L’immusonimento con qualche lamento va alle stelle e decidiamo di ignorarlo, mentre ci gustiamo il gelato di Crepes & Waffles, con Mariana che continua a toccarsi il labbro insensibile mentre mangia il suo gelato.
Alla fine passa anche il muso di Juan, tanto che quando usciamo dal centro commerciale saltella e risoleggia.
Questa sera i bambini giocano tutti insieme, anche Juan e Mariana. Rimaniamo abbastanza stupiti mentre insieme giocano, complottano e confabulano in una delle stanze dell’hotel. Nessuno piange, tutti sopravvivono e si divertono. Nel frattempo vediamo il filmino girato da una coppia di Mantova del periodo appena trascorso… sembravano in vacanza.
Finalmente i bambini escono dalla camera, Juan porta Mariana in braccio, proprio nella stessa posizione con cui lo fa Ale. Si dirige verso mamà e le trasferisce in braccio la sorella. Sarà deformazione da corsi, ma è impossibile non cogliere un passaggio simbolico in questo gesto.
Quando finalmente arriva la cena i bambini sono tutti galvanizzati, elettrici e nella sala da pranzo c’è un fragore… fragoroso.
Purtroppo la cena non va bene per Juan che continua a scherzare, a mostrare la lingua e a fare pernacchie ad Ale. Alla fine non resistiamo e lo trasportiamo in camera a meditare. Fine della serata con lotta con Juan per fargli fare pipì prima di andare a letto (al lavaggio dei denti avevo rinunciato in partenza).
Scene pietose e un fegato così: il mio. Alla fine l’ha vinta lui (ovvio, non puoi costringere qualcuno a fare pipì).

Ecco un’altra prova che Ale a) è viva, b) non è stata rapita e c) mangia… o quantomeno beve.
Questa foto l’ha chiesta espressamente Juan
Mi rendo conto, questa è un po’ da ingegnere, ma non ho resistito al fascino di un bel messaggio di errore Windows nello schermo di un videogame.
Bombas! O anche palloncini. Abbiamo preso un sacchettino da 12 palloncini pensando alle battaglie di palloncini di Medellin e ai giorni e giorni di divertimento. Qui sono durati circa 15′ mentre i bambini de El Portal si divertivano a farli esplodere 🙁 Non credo che ne compreremo ancora.

Terroristi!

Per una volta tanto il titolo non si riferisce ai due pargoli. Ieri all’aeroporto di Medellin ci hanno fatto passare attraverso i soliti controlli, metal detector e affini. Mentre passano i nostri zaini, una guardia esclama allarmatissima: “Ci sono due paia di forbici!!” (traduco in diretta). Due secondi di sguardo vacuo, poi mi viene in mente che avevo ritirato tutti i colori, forbici, colla e altre cose dei bambini in uno zaino, senza più pensare al nuovo regolamento.
Tiriamo fuori il pacchettino e faccio notare che sono forbici per bambini che di fatto non tagliano e hanno pure le punte arrotondate. Niente la polizia aeroportuale è inflessibile. Nessun problema per tutto il resto del contenuto.
Ora, io non sono un esperto di armi, ma non fanno più male delle matite appuntite da 20cm che due forbici spuntate da bambini?

Capottati nell’altro mondo

Siamo a Bogotà, a El Portal, il piccolo albergo a conduzione familiare che ci aveva accolto per qualche ora al nostro arrivo in Colombia (giusto per essere precisi un mese esatto fa). La giornata è stata un po’ dura. Juan era in ansia di partenza e ha iniziato a mugugnare alle 9:00 perché voleva andare sull’aereo “adesso”. Mariana invece è stata distante e provocatoria tutto il giorno cercando la rissa. Da quando siamo usciti dall’appartamento era come se vivesse in un altro mondo, si è isolata ed era inavvicinabile.
In definitiva, come abbiamo constatato oggi pomeriggio, c’abbiamo due aureole così.
Il viaggio aereo, breve, è andato bene, così breve che appena le hostess hanno finito la corsa per distribuire le bibite, hanno iniziato quella per raccogliere i rifiuti e l’aereo è atterrato. Juan era contentissimo, rideva e diceva quello che stava succedendo, insomma entusiasta. Abbiamo avuto solo un attimo di panico quando non abbiamo visto le nostre valige sul nastro trasportatore… Fortunatamente sono arrivate con il secondo giro.
A Bogotà ci hanno accolto la pioggia, una temperatura freschetta e una tassista.
Qui a El Portal ci sono altre coppie, altri bambini, ci sono i giochi e c’è uno spazio libero per i bambini comunque sicuro. I genitori possono tirare qualche respiro senza dover costantemente avere sotto controllo la situazione. Ci hanno offerto un caffè espresso (finalmente!) e noi ci siamo subito rilassati: Ale saltava la corda e io suonavo “per Elisa” su una pianola senza pile dicendo le note.
Come mi ha detto il mio amico Xtè, sopra ai 35 anni c’è un aumento degli incidenti sportivi. Dopo anni di vita sedentaria, si pensa di poter giocare ai vari sport come ai vecchi tempi e … patatrack! Succede l’infortunio. Più o meno nella stessa maniera, oggi, per raccogliere un pallone, mentre giocavamo a pallacanestro, sono scivolato e ho fatto una specie di “spaccata” violenta. A 2600m s.l.m. e con un male biscio sotto la coscia mi si è appannata la vista e mi sono dovuto sedere.
A parte questo c’è un clima molto famigliare, la sera si cena tutti vicino in un saloncino.
I nostri figli hanno accolto molto bene i giochi, un po’ meno il dover rimetterli a posto e Juan ha tentato di dare spettacolo alla cena rifiutando il cibo senza nemmeno averlo assaggiato (praticamente senza quasi averlo visto) e tentando di mangiare le patate con le mani anziché con le posate. Poi, probabilmente perché sentiva di fare la figura del babbione, si è adeguato.
Anche perché gli altri bambini sono tutti composti a tavola, dai 3 anni ai 10, mangiano senza fare storie, si alzano solo quando tutto è finito e i loro genitori hanno un’aria così rilassata….
Questa sera i bambini delle altre coppie ci hanno coccolato, facendoci da mangiare (per finta), una gara a chi preparava più piatti per noi, addirittura Ale è stata imboccata da un bimbo di 4 anni!
La camera è una sola, ma è grande. Peccato (che sia una, non che sia grande), perché un po’ di intimità la sera, per parlare tra di noi, non era male. Adesso siamo in una saletta fuori della camera.

ecco la prova che Ale è ancora tra noi… anche se il sorriso del “ceffo” che ha in braccio non è molto rassicurante.