Noiosi. Se un aggettivo può definire questi trecento km di asfalto rettilineo che uniscono Milano a Bologna nel cammino più breve, è proprio “noiosi”. Li percorriamo tra poco traffico, un km dopo l’altro con una monotonia crescente1. Certo anche Juan e Mariana che chiedono a ripetizione quando siamo arrivati e quanto manca non aiutano molto. Mariana si addormenta sempre in macchina, anche per i pochi minuti di strada che separano la nostra casa dal supermercato, ma non per i viaggi più lunghi. E’ tutto così monotono che quasi perdiamo l’uscita per il mare e rischiamo di ritrovarci a Firenze senza sapere come.
Finalmente Mariana si addormenta quando ormai siamo quasi arrivati.
Per quanto le indicazioni scaricate da internet siano complete e dettagliate, troviamo sempre il modo di perderci intorno alla nostra destinazione. Così, anche questa volta prendiamo un’uscita diversa da quella prevista da Google e ci ritroviamo su una strada che va da un’altra parte tra i campi e le lagune. Ma non è questo che può fermarci, così alle 18:00 raggiungiamo il complesso dell’Hotel Dante, 18 stelle categoria superiore, Centro Congressi, Conferenze, Assemblee, Meeting e chi più ne ha più ne metta.
E l’atmosfera pure, ci sono soci CIAI ovunque, si riconoscono per i colori, i sorrisi e la calda cordialità che un po’ stonano con il numero astronomico di stelle e il facchino in livrea verde che è appena entrato.
Dopo aver lasciato la macchina e scaricato le poche borse ci registriamo alla reception e attraversiamo praterie sconfinate di Hall, corridoi lunghi come il grand canyon e uno stadio che ospita il bar. Infine arriviamo alla nostra camera dove c’è … il letto a castello. Chiuse velocemente le diatribe su chi deve dormire sopra e chi sotto (per fortuna io e Ale abbiamo il letto matrimoniale e nessuna voglia di dormire nel letto a castello) ci cambiamo e, affacciandoci alla finestra vediamo… IL MARE!!! Proprio qui di fianco, appena attraversata la strada. Juan e Mariana (e anche Ale) non stanno più nella pelle, dobbiamo andare subito a vedere da vicino questa cosa strana e nuova.
I nostri figli non sono mai stati al mare, hanno visto qualche lago e laghetto, ma il mare mai. C’è un po’ di vento sulla spiaggia, ma il sole è ancora alto nel cielo. Guarda la sabbia! Le conchiglie sulla sabbia! Via le scarpe e le ultime decine di metri vengono attraversate di corsa. Tenendosi i pantaloni, saltellando, ridacchiando, guardando stupiti le onde che arrivano e che ritornano verso il mare Juan e Mariana danzano sul bagnasciuga passi buffi e incongruenti. Sarà anche l’effetto dei lunghi riccioli, ma guardando Mariana che cammina con andatura traballante e disorganizzata, mentre si tiene su i pantaloni, ci sembra di vedere il capitano Jack Sparrow nelle sue rocambolesche avventure2.
Il vento soffia più insistente sui nuovi problemi: i piedi bagnati e pieni di sabbia, le scarpe che “dove le avevo lasciate?” E ci spinge a ritornare verso l’albergo (anche se chiamarlo così è un po’ riduttivo).
Dopo le docce scendiamo nello stadio e troviamo amici e vecchie conoscenze con cui ci avviamo alla cena. Il locale dove mangiamo ha proporzioni adeguate al resto della struttura, affollato di tavoli da 10 coperti è chiuso da un lato da i banchi del buffet… Ma la cosa più stupenda è il buffet dei dolci: 10m di tavolo centrale ricoperto da ogni tipo di torte e dolci al cucchiaio.
E’ difficile resistere al potere del “All you can eat”, per fortuna viene in aiuto la Regola di Miss Piggy (si, quella del Muppet Show): “Mai mangiare più di quanto tu riesca a sollevare”.
Mentre gli adulti finiscono la cena, i bambini volano fuori a giocare con gli altri bambini. Siamo abbastanza tranquilli: l’ambiente è controllato e pieno di genitori. Cosa può succedere?
Uscendo dalla sala da pranzo vediamo Juan che cerca di giocare con un gruppo di ragazzi più grandi, i quali non se lo filano molto. Cerchiamo invano di convincerlo a giocare con gli altri bambini della sua età. Per fortuna quando il gruppo inizia a giocare a pallone (d’altra parte non è colpa loro se questo bar somiglia ad uno stadio) pericolosamente vicino a lampadari e complementi di arredo il cui valore supera di qualche ordine di grandezza gli averi complessivi dei nostri parenti fino al 4° grado, Juan si stacca.
Il giorno dell’inizio dei lavori ci svegliamo di buon’ora e la colazione conferma le attitudini dell’hotel rispetto ai pranzi. Unico appunto: il cappuccino. Con 18 stelle mi sarei aspettato un vero cappuccino fatto dal decano dei baristi assistito dal primo vaporiere della riviera romagnola a una macchina del caffè piena di manometri di ottone e manopole cromate. Invece è una macchina automatica, di quelle che si possono trovare negli uffici… il cappuccino è discreto, ma tocca rifarci con i croissant, il muesli, lo yogurt (sublime) e le fette di torta.
Mentre i bambini si aggregano agli animatori, noi genitori andiamo all’assemblea. La presidentessa del CIAI è una donna brizzolata dai modi decisi e dai toni perentori. Per dirla alla Terry Pratchett, in altri tempi, la sua voce avrebbe mosso eserciti, i suoi comandi avrebbero fatto correre pacifici contadini all’assalto del nemico. Comunque inizia la relazione annuale. Cosa è andato bene, cosa male, cosa stiamo facendo, dove stiamo andando, chi siamo e da dove veniamo. Sentire questa relazione ci riempie di orgoglio, ci ribadisce, qualora ne dovessimo avere bisogno, che abbiamo fatto la scelta giusta. In ogni lettera, in ogni segno di punteggiatura della relazione è evidente che il motore primo che guida l’associazione è l’interesse e il benessere del bambino, direttamente e indirettamente. Possiamo dormire tra quattro guanciali che per nessun bambino adottato col CIAI ci sarà mai una mamma (o un papà) disperata perchè ha lasciato andare suo figlio convinta da false promesse.
E colpisce il fatto che il CIAI non lavora sulle emergenze nei paesi in via di sviluppo, ignorando facili campagne che possono portare molti soldi alle casse della ONLUS sfruttando l’emotività del momento. L’associazione in cui ci riconosciamo lavora solo per presenze di lungo periodo nei paesi lontani. Ma non solo. Il CIAI è impegnato anche a Milano, nelle aree più difficili, seguendo il difficile percorso degli adolescenti e dei figli di immigrati. Mi ha sorpreso (negativamente) sapere che i figli di immigrati dopo il compimento del 18° anno di età hanno solo 6 mesi per trovare un lavoro a tempo indeterminato altrimenti sono rimpatriati. A nulla servono sponsor che si impegnino nel mantenimento di questi ragazzi per continuare gli studi, 18 anni, 6 mesi e il giorno dopo arrivano i carabinieri.
Arriva anche il momento della lettura e approvazione del bilancio, la sala si svuota, ma io rimango. Non ci capisco niente di bilanci, ma i numeri mi sono sempre piaciuti. Tra le poche cose capisco che c’è una società che esegue la revisione e il controllo del bilancio, certificando l’attività, che il nostro bilancio rientra nei parametri richiesti per una ONLUS etica e morale e che anzi questa società ha proposto, per l’anno prossimo, un passo ulteriore per la certificazione.
Approvato anche il bilancio all’unanimità, l’assemblea si scioglie e si può andare a soddisfare quel certo languorino che, vista l’ora, è condiviso dai più.
Nel pomeriggio Juan e Mariana non vogliono partecipare all’animazione, anche se sembra che prepareranno uno spettacolo per questa sera. Andiamo quindi sulla spiaggia, ma c’è un gran vento. I bambini vogliono giocare, ma non sono molto convinti, cercano di andare nei giochi (scivoli, altalene e casette) che più o meno ogni bagno mette a disposizione dei propri clienti. E questo ci sembra un peccato: questi giochi li troviamo anche sotto casa a Castellanza, mentre adesso qui c’è la spiaggia e il mare. Inoltre il fatto di non voler andare con gli altri bambini e gli animatori ci sembra più una presa di posizione (per chissà quale motivo, ma qui ci vorrebbe Sherlock Holmes, probabilmente con l’aiuto di Poiret, Nero Wolfe e la signora in giallo, per scoprirlo, visto che non parlano) che non una vera scelta di un’alternativa. E infatti, dopo un po’, quando il gruppo dell’animazione rientra in albergo, anche loro vogliono andare e partecipare (e questo sarà una fortuna).
Così io e Ale passiamo la seconda metà del pomeriggio rilassandoci su un lettino davanti alla piscina nel giardino dell’hotel. C’è una stupenda sensazione di comunità e… condivisione. Ci sono tantissime famiglie che non conosciamo, ma che sono come noi, che sanno, che hanno sperimentato, che capiscono profondamente questo nostro modo “speciale” di essere famiglia, dei problemi e delle fatiche che comporta.
L’altra cosa che ci colpisce è Ale a notarla: siamo in 384 (tra adulti, bambini di tutte le età e ragazzi), ma malgrado questo non si sente nessuno che sclera, che sfuria.
Dopo la solita sovrabbondante e gustosissima cena ci predisponiamo a vedere lo spettacolo dei bambini. Non vogliamo perderci nemmeno un minuto e quindi sgattaioliamo davanti al gruppo di ado-genitori fermi all’ingresso della sala conferenze. Appena è il momento entriamo di corsa, cosa che probabilmente non facevamo più dai tempi del cinema dell’oratorio e ci prendiamo i posti “migliori”.
Lo spettacolo è divertente e tenero al tempo stesso. I bambini indossano delle maschere da animali che hanno fatto loro e si esibiscono in vari numeri. Juan è un topolino che infastidisce gli elefanti. Mariana concentratissima, segue le direzioni dell’animatrice sui gesti da fare mentre, mascherata da giraffa, canta la canzone del cuoco pasticcione. Ci mette veramente l’anima! Gli animatori sono particolarmente provati, qualcuno probabilmente sta già cercando un nuovo lavoro come eremita o frate trappista. Lo spettacolo dei bambini si conclude con la canzone, vero tormentone degli ultimi anni, del coccodrillo3. Mariana è sempre concentratissima da far tenerezza, mentre Juan si divide tra il cantare la canzone, aiutare il suo amico P. a ballare e sorriderci a 42 denti. La serata è riuscitissima tra gli applausi scroscianti delle famiglie. Segue poi un’estrazione a premi dove i bambini si offrono come valletti per l’estrazione dei numeri.
Non vinciamo niente, ma è anche normale così visto che non crediamo nei miracoli e difficilmente avremmo potuto vincere non avendo comprato alcun biglietto.
Stanchi e soddisfatti ci ritiriamo nella nostra camera.
Il tempo che ci accoglie al risveglio non è tra i migliori… anzi. Il cielo è coperto, il mare che si scorge dalla finestra è grigio. Indecisi se incamminarci verso sud dove parecchio più avanti dovrebbe esserci una manifestazione internazionale di aquiloni o verso nord dove si trova il centro di Cervia, decidiamo per quest’ultima direzione. Non è eccessivamente distante e così almeno magari vediamo il porto con le barche che i bambini non hanno mai visto.
La temperatura non è molto primaverile, ma almeno non piove… e poi si sa, la fortuna aiuta gli audaci, si vive una volta sola e tutte le altre scemenze che si dicono in queste occasioni. Alla nostra destra si susseguono uno dopo l’altro, numerati, i bagni, alla nostra sinistra il vialone che corre lungo il mare. Ed eccoci al porticciolo, pieno di barche a vela e motoscafi di varie misure. Juan e Mariana guardano incuriositi anche se non particolarmente entusiasti. Il porto si trasforma in un canale (o un fiume) e per attraversarlo c’è un curioso traghetto (a pagamento).
Giriamo sui tacchi e iniziamo a ritornare. Proviamo a passare sulla spiaggia, ma il vento che arriva dal mare è forte e freddo e i nostri k-way fanno fatica a ripararci… anzi non ci riparano molto e così torniamo sulla camminata.
L’hotel Dante ci appare in tutto il suo sedicinoni-cinemascope-sco splendore con tanto di dolby surround 11+1, ma è ancora presto… e poi non piove … ancora. Proseguiamo verso sud. Cammina cammina, Mariana si diverte a fare finta di preparaci dei panini, servendoci all’ingresso di ogni bagno. Juan presto si unisce al gioco e i due si sfidano in una gara immaginaria a chi prepara il panino più delizioso. Quando ci sentiamo immaginariamente, ma indecorosamente satolli, arriviamo ad una graziosa pinetina che sorge su banchi di dune e piena di Boyscout. Ma perchè i boyscout vanno sempre in giro in pantaloncini corti? Anche con questo tempo che ci fanno venire freddo solo a vederli?
Lasciamo i boy scout e i loro misteri e ritorniamo verso l’hotel del Sommo. Il tempo intanto non accenna a migliorare e si avvicina sempre di più l’orario del pranzo.
Arriviamo che il pranzo è già iniziato e questo è un po’ un problema visto che la sala è piena e fatichiamo a trovare quattro posti tutti sullo stesso tavolo. L’atmosfera è sempre conviviale e sempre si trovano amici con cui è facile e interessante parlare.
Quando lasciamo satolli la sala da pranzo lo spettacolo che vediamo attraverso i vetri del cortile è una doccia fredda. In tutti i sensi: piove a catinelle, come se dovesse dimostrare che potrebbe andare peggio: potrebbe piovere! E l’acqua lava via i nostri progetti per un pomeriggio ad ammirare il volo semplice, ma imponente degli aquiloni.
Il grande stadio si svuota sempre di più del gioioso chiacchiericcio dei genitori e dell’animato caos dei figli, fino a che, una dopo l’altra tutte le famiglie si accomiatano e partono per la loro casa. Ma alla fine vogliamo fare la nostra parte da orchestrina del Titanic (che, vista l’acqua torrenziale è anche a tema) e lasciamo l’albergo, vuoto e desolato in tutte e 18 le sue stelle con bacio accademico come solo vuoto e triste può esserlo un albergo al mare di inverno.
Ehi! Ma questa cosa è tutta bagnata e non sta nemmeno ferma!! | |
Uno dei pochi aquiloni che siamo riusciti a vedere | |
Il capitano Jack Sparrow… anche nell’espressione c’è qualcosa… | |
Un po’ di meritato riposo… soli. | |
Ecco un topino e una giraffa… sospettosamente simili alle nostre teppe. |
1. Allontandosi da Milano la serie è monotona crescente anche per i matematici.
2. Dopotutto i Caraibi, teatro delle avventure del capitano, non sono così lontani dalla Colombia.
3. “Il coccodrillo come fa?” ma dico io vogliamo parlarne? C’è qualcuno che sa come fa la giraffa o il koala?