“Il tuo codice è scritto bene, raffinato, solido ed evoluto, tutti dovrebbero scrivere codice così, ma gli altri hanno difficoltà a capirlo e sarebbe meglio che tu abbassassi un po’ il tuo livello così che sia più semplice per loro capirlo e modificarlo”. Questo, parafrasato, è quello che ho sentito in un paio di esperienze lavorative. La mia reazione, scoramento a parte, era che in realtà avrei ben volentieri aiutato tutto il team a crescere piuttosto che abbassare il livello.
Questo è un po’ il mio parallelo conclusivo de “Il Cacciatore di Sibille”, ma andiamo con ordine.
È la prima volta che mi capita di recensire (e leggere) un libro scritto da un mio amico.
Ho conosciuto Michele a Perugia in pieni anni 80. Condividevamo la passione per la programmazione (con lo Zx Spectrum) e la fantascienza.
Ci siamo persi di vista dopo i miei trasferimenti e la mia pigrizia epistolare.
Grazie a Facebook ho letto della sua attività di scrittore e del suo primo (credo) libro e d’impulso ho acquistato una copia in formato Kindle. A proposito, ottima idea quella di utilizzare questo canale di distribuzione.
Scrivere qualcosa mi è piuttosto difficile perché “il cacciatore di Sibille” è un libro molto diverso e lontano dalle mie abituali letture. Quando non leggo testi tecnici in inglese, i miei gusti sono orientati alla fantascienza e al fantastico. Mi piacciono i libri di azione, mistero, intrigo che abbiano comunque una trama solida (non tipo Dan Brown per intenderci).
Il libro che ho appena finito è un libro ricercato, raffinato, dove ogni parola, ogni aggettivo, ogni periodo è ricercato e calibrato. Dove intenzionalmente la lettura è impegnativa: aggettivi desueti (10 punti per l’uso di “onusto” e “ctonio” sicuramente una delle poche, se non l’unica parola dell’italica favella, che contenga la sequenza ‘ct’). Dopo averlo letto mi sento un po’ come un estimatore dei fast food reduce da una cena di novelle cuisine.
Il mio problema con il libro è probabilmente legato ai miei limiti di lettore. Nei primi quattro quinti del racconto non succede molto. La storia della Sibilla appenninica viene presentata attraverso tutti i vari personaggi storici che ne hanno parlato nei loro racconti. Il libro è scritto curiosamente in prima persona, ma il protagonista rimane indefinito. Non sono riuscito a cogliere alcuna motivazione più o meno profonda che spingesse il narratore in questa impegnativa e sofferta ricerca, né cosa gli facesse cambiare idea in merito all’oggetto delle sue ricerche nel corso della narrazione. Perfino l’occupazione del protagonista rimane misteriosa.
Un altro aspetto che mi suscita qualche perplessità è che molte svolte importanti nella ricerca avvengono più o meno per caso. Sfogliando una guida turistica o un tomo in una libreria… come se l’attività di ricerca fosse solo documentativa e i veri avanzamenti nella conoscenza del mistero fossero casualità (adesso che l’ho scritto mi viene da pensare che spesso è proprio quello che avviene in realtà).
(Nel prossimo paragrafo parlo della fine del libro, il che potrebbe rovinare il piacere della scoperta a chi non l’ha ancora letto).
Ultimo punto di alzamento sopracciliare riguarda la conclusione. Ribadisco che anche questo è probabilmente conseguenza della mia insana dieta letteraria. Alla fine arriva il tanto sofferto incontro con la Sibilla, a il protagonista non trova niente di meglio che scappare. Cioè per pagine e pagine si prepara l’ineluttabilità di questo incontro nefasto, blasfemo, illuminante… e poi non succede nulla. Anche la torcia del nostro che sembrava essersi spenta per arcano potere magico viene riaccesa semplicemente come se nulla di soprannaturale fosse intervenuto.
Il mio spirito di “consumatore” di letteratura fast food un po’ rimane deluso più che altro dall’occasione persa: ci sono tutti gli elementi per un grande romanzo di mistero, azione ed intrigo. Cambiando registro e aggiungendo qualche ingrediente più dinamico, questo libro avrebbe potuto raggiungere una popolarità molto maggiore.
Vorrei però che di questa mia recensione rimanesse soprattutto questa nota positiva: Il cacciatore di Sibille è un grande libro. Lo dico convinto, non per piaggeria. È uno scritto erudito, complesso, scritto con una reverenza ed una cura per la lingua italiana quasi religiose. Volendo banalizzare è come un libro di Eco riscritto da un accademico della crusca. Questa sua eccellenza è al tempo stesso il suo limite: non è un libro per tutti.