Questa sera a cena: sul nostro blog possiamo scrivere tutto quello che volete (era un po’ per sdrammatizzare l’affermazione perentoria di Juan: “è tutto il giorno che non faccio la pipì” – possiamo scriverlo su internet). Cosa volete scrivere? Mariana: “Amore!”
Juan: “Niente!”
Red Ring of Death
Despite of the claims, I start thinking that the failure rate for XBox 360, regarding the Red Ring of Death is approximately 100%. I hoped that the occasional freezes I experienced lately more and more often were just to blame to not enough QA for the games I was playing. Today I even bought two new games – Red Alert 3 and Mirror Edge (hi Manuel) – but after having watched Red Alert trailing videos the console locked up with the infamous red blinking.
Microsoft extended the warranty to three years for this very problem. Maybe I’m still covered.
Al Parco
Il parco è molto educativo per gli aspiranti genitori. Oggi c’erano dei bambini e una mamma. La mamma: “Zuriana [il nome è di fantasia] è tua la carta li per terra?”. La bimba, come se niente fosse continua a giocare con gli amichetti. La mamma: “Raccogli la carta e buttala via!”. La bambina non se la fila, la mamma fa qualche passo verso la carta e a quel punto Zuriana le dice brusca: “Raccoglila te!”. E la mamma zitta, raccoglie la carta e la butta via. Poi a scuola le maestre si lamentano perchè i bambini non le ascoltano…
Mariana
Sicuramente per Mariana è un periodo di riflessioni, pensieri. Un momento in cui mettere a posto concetti, affetti e pezzi di una storia frammentata. Lo vediamo da quello che ci racconta dell’asilo: fanno un lavoro sull’alimentazione e lei ci parla del “papà-cuoco” – il mestolo vestito da burattino che la maestra usa per le spiegazioni, estratto dal contesto e riportato esclusivamente nel ruolo paterno. Questa è la settimana delle casette. Ben disegnate, colorate vivacemente: la nostra casetta è di fianco a quella dei nonni (per comodità anche nostra in effetti)… tutti i nonni senza distinzioni familiari. La prima cosa di cui ci parla sono i disegni che ha fatto per noi, il resto è uno sfondo sfuocato di cui viene riportato qualche confuso episodio solo in terza o quarta battuta.Segno dei tempi cambiati è anche il saluto alla mattina all’asilo. Mentre a gennaio Mariana si allontanava dalla mamma senza salutarla, adesso non solo la saluta, ma trova difficoltà a staccarsene, a lasciare andare: entra in classe e dopo poco ne riesce per riattaccarsi alla mamma (se non si è già defilata).
Finalmente chiede di essere vestita ed è tranquilla mentre la vestiamo (prima doveva scegliere tutto lei, non stava ferma perchè doveva finire tutto lei).
Probabilmente un po’ di pezzi cominciano ad incastrarsi perchè inizia a permettersi certi pensieri. Ha iniziato a disegnare tantissimo, colorando, imitando, creando, praticamente a casa passa la maggior parte del tempo con foglio e colori e questo, per i bambini, è sicuramente un modo per comunicare.
Negli ultimi giorni la comunicazione è diventata anche parola, magari non proprio apertamente come dotta disquisizione: arriva nei momenti in cui c’è meno tempo per parlarne, o magari non particolarmente appropriati, (mentre si lava i denti è successo un paio di volte). Come se non volesse che poi noi adulti, con la nostra logica e le nostre argomentazioni, indagassimo o muovessimo troppo le cose che per lei sono ancora un po’ tutte traballanti.
E così, dopo aver visto le prime puntate di Heidi (grazie Enrico) ha chiesto: “ma Heidi non ha la mamma?”. E Ale, che era con lei, ha risposto che probabilmente non l’aveva più, così Mariana ha detto: “che poverina! E’ così bello avere il papà e la mamma.”
“Eh si! tutti i bambini dovrebbero avere un papà e una mamma” – ha risposto Ale, e Mariana: “La mia mamma M. non mi ha voluta”.
Questo qualche giorno fa, mentre ieri mattina, sempre durante il lavaggio dei denti naturalmente (si, si, proprio con dentifricio e spazzolino in bocca) ha detto: “questa mamma mi piace di più”. Aperto e chiuso il discorso (mica sempre si può fare una dissertazione).
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Dai Pippo alzati!
I collegamenti che fanno i nostri figli sono strani, indiretti, a volte sconclusionati (per un adulto), ma spesso sorprendenti. E le cose che passano, che si ricordano sono quelle che riusciamo a comunicare con le emozioni. Partendo da molto (ma molto lontano): “cos’è un essere vivente?”, “La Palestina è su un altro pianeta?”, Juan è arrivato ai nonni. Ci sono la nonna Carla, la nonna Rosa e il nonno Roso (abuelo Nando viene spesso ricordato così). Che sono mamme e papà miei e di Ale. E quindi quando Juan avrà dei figli, noi diventeremo i loro nonni.
Finchè Juan arriva al papà di Ale che non c’è più, dicendo: “e allora se c’era il tuo papà avrebbe chiamato Pippo me e Mariana”, ricollegandosi ad una cosa che Ale aveva detto mesi fa. Una sola volta e senza più tornare sull’argomento. E cioè che suo papà a volte la chiamava con il soprannome di Pippo.
E continua: “Anche tu, se vuoi, puoi chiamarmi Pippo. Domani mattina, quando mi svegli, mi dici – Dai Pippo alzati!”.
C’è un bisogno di famiglia, un desiderio di fare l’esperienza di figlio, di trovare i modi possibili per esserlo attingendo anche alle cose belle che raccontiamo noi, della nostra esperienza di figli.
E’ sorprendente come una cosa da cui è ormai passato qualche mese abbia lasciato questo segno positivo. Non sono i tormentoni che rimangono nella memoria, ma le emozioni. Ed è anche sorprendente il continuo lavorio di “sistemazione” delle parentele che si svolge dietro alle quinte per affiorare in cerca di conferme con i collegamenti più esotici.
Carnevale
Carnevale, coriandoli e stelle filanti. E mentre il coro intona ancora “sasuera, sasuera”, i ballerini di samba scompaiono a passo di danza nella luce dorata del tramonto.
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Si chiama Zorro, è grande, grosso, tutto ner, si chiama Zorro, con una mano ferma un tren. Si chiama Zorro e i briganti vincerà… |
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Ed ecco Robin Hood, o, come veniva nominato agli esordi “Rubinud” |
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Scommetto che non avevate capito chi era. |
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Ohhh, i carri! Cioè, la sfilata dei carri di Busto Arsizio, mica bruscolini! |
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Zorro con “los cugini”: il principe di Persia e il crociato Ale. |
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Tattarattataratatatà, olè! (questo è l’Olè spagnolo che non c’entra nulla col latte francese). |
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Ehi, c’è un bruco nel giardino della nonna Carla. |
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Un feroce pirata dei Caraibi (o comunque di poco più a sud). |
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Comunque il premio per il miglior costume va a Gundam. |
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E per finire in bellezza una gustosa pizza. |
Tre cose che mi hanno colpito
Di tutto quello di cui abbiamo parlato ieri nell’incontro al CIAI, tre cose in particolare mi hanno colpito. In realtà le cose che mi hanno colpito sono molte di più e alcune hanno colpito anche duramente, ma poche hanno la sintesi di queste che sto per scrivere. La prima cosa è che il rapporto genitore-figlio è l’unico tipo di rapporto che funziona bene quando è sbilanciato. In generale i rapporti tra amici, tra fidanzati, tra marito e moglie, tra colleghi, funzionano bene e a lungo quando sono bilanciati, quando si instaura uno scambio equo nei due sensi.
Il rapporto tra genitore e figlio è invece sbilanciato – sarebbe come dire che la nuova generazione ha credito illimitato nei confronti della precedente.
Vista da una diversa prospettiva il momento di chiedere è quando si è bambini, il momento di dare è quando si è adulti…
La seconda idea che mi ha colpito è, un po’ la traslitterazione della poesia che paragona i figli alle frecce e i genitori all’arco di Khalil Gibran . Cioè che lo scopo non è quello di tenere i figli, ma di farli andare, e loro possono andare solo se “fanno il pieno d’amore”. Se non sono amati abbastanza non riescono a staccarsi perchè… hanno ancora credito.
Infine, mi hanno colpito sono state queste (circa) testuali parole: “Si metta il cuore in pace, per i prossimi 15 anni, i suoi momenti di pace e di tranquillità saranno dalle 9:00 alle 18:00 dei giorni lavorativi”.
On The Edge
As far as it may seem odd nowadays, there was a time when BASIC was The Language. Computers from different vendors were 100% not-compatible and resources were so constrained that your average mobile phone could be considered a supercomputer when compared to. It was the Home Computer Era. Back then, it was the first half of the 80s, home computers started to spread around even in Italy. I was fourteen and started programming (and playing) with my ZX Spectrum 48k.
We hadn’t Windows or Linux, Vi or Emacs, Java or C#, but we had our religion wars – the most bloody, was Sinclair vs. Commodore and more precisely Spectrum vs. C64.
Owning a Spectrum I was in the Sinclair’s party – the gummy keyboard machine with a nice rainbow. Spectrum had superior BASIC and faster CPU. I like to think I always have an open mind, in fact, some years later, I was about to buy a C64. The Commodore machine sported for sure a superior hardware – more memory, more graphic modes, better audio, sprites, and decent keyboard.
I waited, then evaluated the C128, but bought an Amstrad. Some years later the Amiga arrived and I became a happy Commodore customer.
This book is like a documentary of the troubled history of Commodore. From the very early days, when the designer of the MOS 6502 CPU designed the first PET, to the final days of bankruptcy.
I found the book very good, more balanced of iWoz, maybe just because the writer is not directly involved in the company and just interviews people trying to rebuild facts.
The book reads nearly as a fiction book, with interesting characters, heroes, foes and plot twist, while the narration proceed toward the glooming end.
Two aspects stroke me during the reading – first is about success and failures, the latter is about overtime.
Many of the engineers interviewed hold that the most successful products were achieved when they were free from the marketing and worked almost free (but for the deadlines set directly by the CEO). The most unsuccessful products (notably the Plus 4 and C 16 abominations) were marketing driven. What really strikes me is how could the marketing and the middle management be so computer-unaware? They had a powerful brand, great hardware, yet they failed to steer the company helm to easily reachable success.
Overtime was a sort of way-of-life for Commodore engineers. Unrealistic deadlines were hit thanks to work around the clock for several days. One of the engineers recalls that his longest stay at office was 11 days. He just got some hour sleep in his office.
Unrealistic deadlines were needed to win against the strong competition from other vendors, but this is something you can’t live with for a reasonable time. You have to work less. I am a strong supporter of the 8h/day per 5days a week with just occasional overtime. My argumentation is that overtime tends to burn out people, making them behave in a sub-optimal way in the medium period. Also because of the long hours away from home they need to do something personal at work, just to keep up with life. So I wonder if those jewels (C64 and Amiga) that Commodore gave us could have existed and could have been the same with more human working conditions?
Simple I/O Messing Up
Basic I/O should be simple. I guess you agree. And I guess that’s way many C++ or Java programmers that look back to humble printf with some nostalgia. In fact it is hard to beat the conciseness and the clarity of something like:
printf("%03d", x );
When it comes to create formatted output C printf is usually one of the best tool available.
Unfortunately things are not so simple. One of the first limitations acknowledged for this little gem is that it lacks of robustness, or, put from a different perspective, it doesn’t type check.
What happens if ‘x’ in the above example is a float number? or a pointer? Or worst if the format string specifies a string pointer and an integer is passed?
This problem is mostly overcome in the GNU compiler via a custom extension that allows the compiler to check for consistency between format string and arguments.
The mechanism is enough flexible to be applied to user defined functions. Suppose you have a logging function that behaves like printf, something like
void log( LogLevel level, char const* message, ... );
That’s handy so you don’t have to perform string processing to build your message to log when you want just log. If you use Gcc and declare the function like:
void log( LogLevel level, char const* message, ... ) __attribute__((format(printf,2,3)));
Then the compiler will kindly check all the invocation of function log in your code to ensure that specifiers and arguments match.
So far so good, but enter C99. In the old days there was an integer type (int) with two available modifier (short and long). That was reflected in printf specifier/modifier: %d is for straightforward ints, %hd for shorts and %ld for longs.
And this is fine until you work on the same compiler and platform. If your code needs to be portable, then some complications are ready for you.
The last standard (C99) mandates a header, namely stdint.h, where a number of typedefs provide a wealth of integer types: grouped by size and by efficiency, you have (if I count correctly) some 30 types.
From one side this is jolly good since poses an end to the critics against C for not having an integer type with a declared bit size valid for all platforms (like Java has).
Unfortunately, on the other size printf is not able to autodetect types and thus you have to write a different format string whether your int32_t is defined as long int, or just int.
To leave the nightmare behind C99 mandates another header file – inttypes.h that provides the proper specifier for each one of those 30 integer types. For example, if you want to print an int32_t, you have to write:
printf( "here's an int32_t: %" PRId32 " and that's alln", x );
As you can see it relies on the C preprocessor that merges two consecutive strings into one.
That does the job, but, IMO some simplicity of the original idea is lost.
Bio / Ado + Family
In una famiglia biologica i figli assomigliano ai genitori e ne sono la loro prosecuzione genetica.
In una famiglia adottiva non c’è legame di sangue e spesso le differenze sono somatiche, etniche e di colore.
In una famiglia biologica non ci sono vuoti: tutti insieme, dalla nascita in poi.
In una famiglia adottiva la vita insieme, per i figli, comincia da un giorno che non è quello della nascita. I vuoti da colmare sono molti.
Una famiglia biologica nasce dall’incontro per amore di due persone, un uomo e una donna.
Una famiglia adottiva nasce dall’incontro di due persone, un uomo e una donna, e di questi con i loro figli, per amore.
Una famiglia biologica può formarsi per scelta responsabile di procreazione.
Una famiglia adottiva non si costituisce se non per una scelta responsabile dei genitori.
In una famiglia biologica i ruoli sono netti e definiti.
In una famiglia adottiva: chiariamoli insieme e inventiamoli giorno per giorno.
La cosa più ovvia in una famiglia biologica sono le radici.
La cosa più ovvia in una famiglia adottiva è l’accoglienza.
La cosa più difficile da dare ai figli, in una famiglia biologica, sono le ali.
La cosa più difficile da dare ai figli, in una famiglia adottiva, sono le radici.
Le ali, questi figli, le hanno già… è con queste che sono giunti a noi.
La cosa più necessaria, in una famiglia biologica, è l’amore.
La cosa più necessaria, in una famiglia adottiva, è l’amore.