(che poi è una donna)… dice che tutto è ok, ma non saltiamo alle risposte. Questa mattina l’appuntamento era alle 11:00 e fortunatamente siamo riusciti a non subire nessuna crisi, giusto qualche mugugnetto e impuntamenti minori risolti con la contrattazione delle patatine (si potrebbe anche dire “ricatto”, ma “contrattazione” è più politically correct).
Il Taxi arriva leggermente in ritardo facendoci temere di non arrivare in tempo all’ICBF. Ci accoglie l’interprete messa a disposizione dell’ente, un’italiana di Bolzano (madrelingua tedesca quindi) che ha sposato un colombiano e vive qui da 29 anni, tra l’altro anche lei madre adottiva. Una persona molto sensibile e disponibile.
A prima vista ha commentato “be’ vi vedo tranquilli… una coppia di Milano che è stata qui qualche mese fa, anche loro con due bambini, era molto più agitata”. Comunque Juan e Mariana vengono chiamati in un’altra saletta e noi entriamo in un ufficio con l’interprete, la psicologa colombiana e l’assistente sociale.
Ci fanno raccontare tutto (con l’interprete che ogni tanto parlava a noi in spagnolo e alle operatrici in italiano), loro annuiscono e prendono appunti. Ci chiedono anche dei nostri vissuti, di come ci siamo sentiti nei vari momenti di questa ancora breve ma _molto_ intensa avventura.
Alla fine ci hanno rassicurato molto sia gli operatori che l’interprete che ogni tanto aggiungeva il proprio contributo e commenti tipo “mi fate molta tenerezza”. È giusto che le cose vadano così e, anzi c’è stata una buona e rapida evoluzione. Certi rifiuti categorici di Mariana sono da interpretare come la risposta al nuovo ambiente quando, data l’età, non ci sono ancora gli strumenti mentali. Ci dicono che finora abbiamo fatto bene, di continuare così e che è importante mettere regole fisse sulle cose a cui diamo più valore ed essere elastici sul resto.
Alla fine ci hanno chiesto, nello stile “un’offerta che non si può rifiutare”, se volevamo posticipare la verifica dell’integrazione a mercoledì. Si poteva rispondere “no”??
In effetti ci hanno detto tante cose tranquillizzanti e tante cose utili, resta ancora qualche dubbio su come affrontare le crisi isteriche, anche se, come aggiungeva giustamente l’interprete, siamo noi ad essere presenti e quindi a poter capire come è meglio intervenire.
Usciti dall’ICBF ci siamo fatti portare dal fido Raul (il tassista di fiducia) in un locale tipico per mangiare qualcosa. I bambini non hanno molta voglia di rivelare i propri gusti, così scegliamo noi per loro, uguale, così non possono avere nulla da ridire. Anche il succo di frutta che inizialmente non vogliono, glielo facciamo ordinare (e alla fine se lo bevono con mucho gusto).
Ale prende una Bandeja Sencilla e io una Bandeja Paisa. Si tratta di due vassoi (“bandeja” significa infatti “vassoio”) pieni di … tutto. Carne trita, fagioli, uovo in camicia, salsiccia di due tipi, lardo, platano (che è una specie di banana), una specie di mango, un’insalatina, riso, un’arepa (una specie di frittella di farina di mais), nel mio c’era anche una bistecchina, giusto se dovesse rimanere ancora un po’ di spazio.
Impossibile finirli, ce l’impacchettano e li portiamo via.
Pomeriggio a casa con tre crisi di Juan sempre per delle stupidate. La prima piuttosto acuta con calci e pugni al sottoscritto, probabilmente per la gelosia nei confronti della sorella. La terza invece piuttosto fake, dopo qualche minuto di spinte e annaspi per riattaccare il cavo della televisione (che visto i precedenti era off-limits per questa sera), con espressione truce e mugugni strappalacrime, si mette a ridere e a giocare con altro…
Istantanee commoventi del giorno: Mariana a cena che dà da mangiare ad Alessandra (che visti gli spettacoli di prima non è che avesse tutto questo appetito). Sempre Mariana che porta prima una forchettata di pollo a Juan in camera sua in piena crisi di pianto e poi le patatine.
A differenza delle altre sere Juan ha mangiato qualcosa, anche se dall’esterno si potrebbe dire che, da oggi, abbia iniziato una dieta vegetariana molto selettiva: solo patatine fritte.
(oggi niente foto perchè non ho la forza fisica di metterle).
2 piccoli adorabili … selvaggi
Sette. Oggi siamo arrivati a sette, sette crisi isteriche. Ieri sono state un po’ di meno, però scattano per piccole cose. Nei primi giorni siamo stati molto permissivi come regole, veramente il minimo sindacale. Quindi le crisi scoppiano per le cose più stupide: la richiesta di usare il fazzoletto per pulirsi il naso anziché il dito, Ale che si toglie la maglietta per poter fare il bagno a Mariana (per evitare di bagnarla), la richiesta di non aprire le cose con i denti…Inizialmente lasciavamo che la crisi si sfogasse cercando di contenere giusto i danni a oggetti e persone, però così non se ne veniva a capo. Anche perché in due anni di corsi, incontri, convegni e conferenze nessuno mai ci ha spiegato qual è il migliore comportamento da tenere in caso di crisi isterica.
Anzi forse nella preparazione certe descrizioni dovrebbero essere più incisive: se volete adottare preparatevi a vedere massacrato il regalo che avete scelto con tanta cura per l’incontro, preparatevi a combattere per una maglietta, preparatevi a ricevere parolacce da un frugoletto di 3 anni e mezzo (per fortuna in spagnolo), ad essere presi a sputi, pugni, morsi e unghiate, a essere ignorati o schivati, mentre il vostro coniuge è ricoperto d’attenzioni…
Comunque da questa sera (oltre ad avere richiesto un confronto con uno psicologo per qualche consiglio), la referente dell’ente ci ha consigliato di essere più rigidi sia in termini di regole di convivenza, sia nel limitare lo sfogo e, nel momento della crisi, di ignorarli completamente, per quanto sia difficile.
Sì è un po’ uno sfogo, ma penso che dopo 7 crisi isteriche, oggi, possiamo concedercelo.
Pensiero di ieri: non c’è niente di più brutto del rubare il sorriso a un bambino, non c’è niente di più bello di un bambino che sorride.
Ieri siamo andati al Parque Norte che è una specie di parco dei divertimenti, tipo Gardaland tanto per intenderci, ma molto meno affollato (ma mooolto). I bambini sono saliti su parecchie giostre anche se alcune erano in manutenzione (naturalmente le più ambite). C’era anche un aereo passeggeri vero con schermi ai finestrini e sedili mobili così i bambini hanno provato l’emozione di salire su un vero aereo, come quello, tanto agognato, che li porterà in Italia.
In questi giorni il tempo è sempre stato ragionevolmente bello, solo con qualche temporale serale, quindi ieri ha pensato bene di aprire le cataratte del cielo verso le 12:00. Uno di quei bei acquazzoni tropicali (d’altra parte siamo proprio qui). Visto che non accennava a diminuire abbiamo chiamato il taxi e, come da copione, probabilmente si tratta di necessità storica, al suo arrivo la pioggia ha smesso.
Oggi invece è stato già un miracolo andare a fare la spesa al supermercato qui vicino.
I colombiani (almeno quelli con cui abbiamo avuto a che fare finora) sono gente amabile: pacata, paziente, che parla con tono sommesso e radiosa.
Abbiamo avuto qualche problemi anche con i telefoni cellulari e così ieri senza avviso è arrivata, verso le 9:00 la signora delle pulizie. Considerato il regolamento da minimo sindacale la casa era un disastro…. avremmo voluto sprofondare. Lei si è messa di buona lena, con in sottofondo il CD di “Mission Impossible” e ci ha restituito una casa pulita e ordinata a puntino.
Fare i genitori è anche questione di strategie creative… ad esempio se vostra figlia vuole fare il bagno, ma la vasca che avete a disposizione è sprovvista di tappo, che si fa? Noi abbiamo preso il coperchio di un tupper che c’era in cucina… chissà cosa avrà pensato la signora delle pulizie di cui sopra, trovandosi di fronte al coperchio in bagno.
Comunque grazie a tutti quelli che ci hanno lasciato un commento in questi giorni, quelli che ci hanno scritto email e quelli che comunque ci hanno pensato. Sentire un coinvolgimento così caloroso ci dà tanta forza.
Survivors
Sospiro di sollievo per tutti quelli che stanno seguendo la nostra storia e sempre più ansiosi non vedono nostre nuove e anche per noi.Abbiamo risolto il problema tecnico dell’adattatore del computer (brutalmente tagliando il filo di alimentazione e mettendoci una spina locale – alla faccia delle normative di sicurezza) ed è anche il primo giorno che non crolliamo esausti sul letto.
Ale:
Da dove iniziare a raccontare? Sono solo trascorsi 5 giorni dall’incontro con i nostri figli, ma ci sono così tante cose da raccontare che non saprei proprio da dove incominciare: momenti di fatica, di senso di impotenza e di inadeguatezza, la loro rabbia che esplode in ciascuno in modo diverso, i pianti, la continua richiesta di attenzione, i numerosi “no” alle nostre minime richieste, ma ci sono anche le coccole, i baci, gli abbracci, le continue richieste di essere presi in braccio; c’è la loro sete di essere amati e voluti; i giochi insieme e le risate; il sentirsi chiamati mille volte al giorno “papà!” e “mamà” e noi, ad ogni suono di queste due meravigliose parole ora con entusiamo, ora armati di santa pazienza, rispondiamo con tutta la dolcezza “arrivo!”, “dimmi!”.
Li guardo e non posso fare a meno di sentire e pensare alla loro sofferenza e alla loro paura di essere ancora traditi, ma dentro hanno una forza incredibile di riprovare. Per adesso la giornata inizia alle 6 della mattina, vengono nel nostro lettone oppure noi andiamo da loro. Juan fa la doccia senza problemi, con Mariana invece bisogna aspettare il momento giusto per fare con lei qualsiasi cosa, soprattutto per lavarla, vestirla, pettinarla.
Per il resto della giornata, tutto il tempo e le nostre energie sono per loro. Questa è la prima sera che, dopo averli messi a nanna, abbiamo ancora un po’ di forza per restare alzati e poter continuare a scrivere la nostra avventura.
Max:
(scritto la sera dell’incontro sul palmare) Oggi é veramente una giornata difficile da raccontare. Lasciamo pure perdere la sveglia prima dell’alba, la corsa nella notte a bordo di uno sgangherato taxino con la spia del motore accesa fissa e le valige in braccio. Passiamo anche sopra a qualche montagna con l’aereo e atterriamo a Medellin. Raul, l’autista scelto da Pilar ci porta prima in tribunale a depositare qualcosa (un giorno forse riusciremo a comprendere appieno tutti i passaggi burocratici), poi mancano ancora dieci minuti e andiamo a fare la spesa. Seguendo il passo risoluto di Pilar riempiamo il carrello di un sacco di pasticci. E poi non c’é scampo: arriva l’ora X. Si entra in un edificio che potrebbe essere anche una scuola. Ci ricevono l’assistente sociale, la “defensora” de famiglia che si é occupata del caso e una persona dell’ufficio. Ci chiedono se abbiamo altre domande rispetto a quello che sappiamo e a un certo punto spunta, dal vetro una faccina caffè, seria seria, ma curiosa! É lui: nostro figlio che non ce l’ha fatta a resistere all’impazienza!
Chiudiamo piuttosto sbrigativamente il resto della procedura e ci apprestiamo a fare conoscenza… bisogna sempre cercare di ricordarsi di respirare. Ma non ne abbiamo il tempo: due ciuffoli caffé arrivano a mo’ di turbini con due disegni… e ci parlano, noi capiamo poco-niente e li abbracciamo. I regali si scartano, si inizia a giocare. Non esiste nulla all’infuori di noi 4 e dei giocattoli che abbiamo portato. A un certo punto Juan mi chiama papá-ah (con accento bergamasco si potrebbe dire). E da quel momento é un’esplosione di mamá-ah e papá-ah.
Salutiamo il personale dell’ICBF con l’intesa che ci vediamo tra 10 giorni e scendiamo nel parcheggio saltellando a piedi uniti le 4 rampe di scale e facendo “boing boing” con la voce.
Altre note
Medellin, o meglio la zona in cui viviamo, non si puó dire certo pedestrian-friendly. Il centro commerciale dista un 20 minuti ad andare di cui 13 in attesa ai semafori. Il centro commerciale é molto grande e contiene un Carrefour. I primi due giorni non riusciamo a prendere bene le misure: troppo grande, troppo dispersivo, troppe energie convogliate a controllare i figli (che non dovrebbero, nel possibile, farsi troppo male, anche perchè abbiamo un incontro di verifica lunedì prossimo).
Note sui regali: la macchinina radiocomandata è stato un successo, undici punti su 10. Juan non la molla un attimo e ci dorme letteralmente insieme. La bambola di Mariana non ha avuto un successo immediato, ha iniziato a guardarla dopo il 3° giorno e anche lei adesso la porta al parco e a letto. Le bolle di sapone 8 su 10, dopo i primi giorni hanno iniziato a guardarle un po’ meno (anche perchè il contenuto ormai è finito). I palloncini ottimo: non vogliono che li leghiamo perchè si divertono a gonfiarli e sgonfiarli lanciandoli o facendogli fare i suoni. Ieri mattina abbiamo inventato la guerra dei palloncini: due squadre si affrontano di soppiatto percorrendo il corridoio e lanciando i palloncini a sorpresa contro gli avversari… non vince nessuno, ma ci si diverte un sacco.
Guardano un sacco gli album che abbiamo inviato a febbraio, li conoscono a memoria, ogni figura, ogni scritta. Juan ha chiesto perchè sull’album non ci sono le foto dei cugini e degli zii… ehm, noi abbiamo obbedito agli ordini 🙂
Tutt’e due ci chiedono dell’aereo, e appena ne passa uno sopra le nostre teste è un evento che coinvolge tutta la famiglia. Juan in particolare non vede l’ora di andare in Italia.
La lingua… è un problema, ma non un problema. Cioè non ci sono problemi per farsi capire e per capire sulle cose pratiche. Il problema è che loro ci parlano un sacco, per quel poco che capiamo, ci raccontano le loro storie, ed è un peccato non sapere abbastanza spagnolo per raccogliere e conservare queste perle. Per fortuna, la mamma-affidataria (che loro chiamano zia) ha consegnato all’ICBF due quaderni-diario (che ora abbiamo noi) di quest’anno vissuto con lei. Loro ci insegnano qualche parola, l’accento sembra bergamasco, e noi abbiamo iniziato a parlare un misto di italiano, spagnolo, dialetto con qualche interiezione in inglese … con accento bergamasco, aiuto! Quando torneremo ci faremo capire a gesti.
Il cibo è un po’ un problema: manca il tempo per fare tutto e quindi anche per preparare un pranzetto degno di questo nome (loro chiamano in continuazione anche quando siamo in bagno). L’altro problema è quello di cucinare le specialità locali che noi non conosciamo e, dalle loro reazioni, si direbbe che si vede.
L’esperienza al supermercato, la prima volta, è stata un delirio: loro che urlano “Yo quiero este!!” e prendono i pacchetti mettendoli nel carrello, noi che non capiamo il contenuto misterioso di queste confezioni o, se lo capiamo, vorremmo tanto non prenderli. Cerchiamo di arginare cedendo alle richieste più ragionevoli e facendo muro su quelle che proprio non ci stanno.
Certo che la prima volta che tuo figlio ti chiede “yo quiero este” (letteralmente dovrebbe essere una via di mezzo tra “voglio questo” e “mi piacerebbe molto questo”) e tu dici di no, ti senti proprio una carogna.
Grazie a tutti per i vostri messaggi, sono bellissimi, li leggiamo tutti, volentieri, ci commuovono e ci danno forza!
Bogotà
Eccoci finalmente a Bogotà! Per Medellin si parte domani… alle 6:00 … dall’aeroporto, alle 4:15 dall’albergo. A noi il jet lag ci fa un baffo! Viaggio tutto bene. Ecco gli appunti di oggi
5/6/2008 5:55 am – aeroporto di Malpensa, Terminal 1
I mesi sono diventati settimane, le settimane giorni, i giorni ore e alla fine secondi. E alla fine l’ora zero é arrivata anche per noi.
E sempre un po’ piú vicino, sempre un po’ prima stiamo per arrivare. In una versione nostra e personale che é una via di mezzo tra l’arrivano i nostri e l’armata Brancaleone.
Sdrammatizzazione: Ale parla con le foto di Juan e Mariana (tipo “eh, anche tu quante ne combinerai…”). Max dopo essere andato due volte ai servizi: “non sono agitato, peró speriamo che all’ICBF ci sia il bagno”.
Decollo, questa volta é proprio la partenza, ci solleviamo dal suolo padano e salutiamo l’Italia che rivedremo tra un po’. Intanto immaginiamo come saranno i voli con Juan e Mariana: come dovremo disporci, come saranno sgranati i loro occhi di fronte a tante novitá, magari impauriti e … staranno proprio seduti e tranquilli? Ci sembra cosí improbabile.
10:09 sull’aereo per Bogotá, ancora saldamente appoggiato al suolo di Parigi.
Il passaggio a Parigi é stato giusto una pellicola spinta in “avanti-veloce” a parte un po’ di coda per i controlli di sicurezza, apena arrivati al gate inizia l’imbarco via autobus.
9:59 ora di Bogotá. Da qualche parte a 10668m sull’oceano atlantico. Per un attimo, concentrandosi, cercando di chiudere varie porte mentali si potrebbe pensare che questo sia un viaggio di turismo: solito volo intercontinentale su distese sconfinate d’acqua, pasto scadente servito in troppo poco spazio, semioscuritá, pisolini alternati a momenti di veglia… Non dissimile dal volo dell’anno scorso verso gli Stati Uniti.
Eppure questa falsa sicurezza non dura piú di qualche istante, niente riesce a fermare la luce dell’Incontro di domani. Niente riesce a frenare l’immaginazione di noi con loro nei prossimi giorni in quella terra straniera dove tra un po’ atterreremo.
E ogni volta che le figure si fanno piú vivide e vere c’é quella tensione che parte dalla nuca ed elettricamente si irradia giú nelle braccia fino ai pollici e nello stomaco contraendolo.
Intanto é certo: abbiamo dimenticato il temperamatite… poteva andare peggio.
All’arrivo ci siamo accorti che in una valigia uno shampo ha perso buona parte del suo contenuto… malgrado l’impacchettamento strategico. Così anzichè riposarci aspettando l’ora di cena, ci siamo messi a lavare inzuppatissimi vestiti e ad asciugarli col phon…
Note di servizio: ho visto che ci sono un paio di problemini con i commenti – le vocali accentate e gli orari… prima o poi sistemerò O:-)
-1: valige chiuse
Cosa si fa a -1? Il confine diventa confuso: contiamo le ore alla partenza? All’arrivo? All’incontro? Intanto le valige si sono chiuse l’altro ieri con un *click* deciso e incontrovertibile, da qui indietro non si torna.Stiamo passando la penultima giornata da “sposini” tra pulizie domestiche in grande stile (così se vengono i ladri trovano tutto in ordine e ci ringraziano), ripassando le cose da portare, quelle che stiamo dimenticando, le parole in spagnolo…. e loro, loro che fanno capolino ad ogni pensiero portando con sé un concentrato di dubbi, domande, pensieri e fantasie che ci hanno accompagnato per mesi. Dopodomani li incontriamo davvero?! Dal vivo?!
Il tempo in questo periodo non è passato lentamente, anzi direi che i giorni sono andati avanti decisi, ma allo stesso tempo sembrano passati eoni anche dagli eventi più vicini: l’ambasciata Colombiana era solo settimana scorsa, eppure sembra un anno. L’incontro di giovedì scorso alle Radici e le Ali… idem.
Anche il nostro stato emotivo è particolare, strano, non siamo nervosi, ma, in mancanza di termini migliori, direi che siamo emotivamente stressati o qualcosa del genere.
E intanto l’incontro si avvicina…
-7: anche l’INPS è sistemato
E adesso da che parte inizio? Il primo messaggio, le prime righe su una pagina bianca sono un’enorme responsabilità. Fino a che la pagina è vuota contiene, in potenza, tutte le possibili storie. Fino a che la pagina è vuota chi scrive si può considerare, non a torto, il migliore scrittore. E’ solo dopo aver tolto gli spazi bianchi per far posto alle lettere che viene colpito dalla dura realtà. Questa pagina bianca però non è solo l’inizio di questa sezione del sito (una sezione non particolarmente testata e un po’ ballerina), ma dovrà contenere l’inizio della nostra vita a 4. Tra sette giorni non saremo più solo io e Ale, ma Juan, Mariana, Ale e Max.
Inizierò a spiegare perchè questa sezione si intitola c’era due volte. Molte storie iniziano con “c’era una volta”, questa inizia invece in due posti distinti, lontani tra loro, dove si parlano lingue diverse, dove le persone mangiano cose diverse, dove parlano di cose diverse (anche se spesso in tutt’e due i posti si parla di calcio). E la storia continua per un po’ su questi due binari che sono destinati ad incontrarsi il 6 giugno 2008 per diventare una sola. Si capiva già e non era il caso di spiegarlo? Be’ ma da che parte iniziavo allora?
Lo scopo di queste pagine è doppio (tempo ed energie permettendo): da una parte comunicare con tutti i nostri amici e parenti quello che succederà mentre siamo in Colombia, dall’altra registrare il nostro viaggio e la storia di “c’era due volte”, perchè col tempo non si perdano quei particolari, quelle emozioni, quei momenti che riempiono la vita di tutti i giorni.
-7 questa mattina c’è stato l’ultimo incontro/scontro con l’INPS. Anche oggi l’impiegato allo sportello mi ha “sbarilato” a un’impiegata di un ufficio interno. Dopo circa un’ora finivo di compilare tutti i moduli (tutti in duplice copia) e l’impiegata mi diceva che avrei dovuto portare una lettera di Ale. “Non dovrò tornare anche domani?!”. L’impiegata ci pensa bene e poi mi accontenta: “Se vuole può mandare un fax”.
Domani invece Ale dovrà tornare a Milano, all’ambasciata perchè hanno sbagliato a indicare sul suo visto il numero del suo passaporto.
E’ difficile descrivere le emozioni di questi giorni. La fifetta è probabilmente la nota ricorrente che combatte con la voglia di partire subito. “Tra 7 giorni?? Ma non siamo ancora pronti!”. Ci sono poi tutte le cose che si accumulano negli ultimi giorni, per quanto siamo stati bravi a non rimandare e a evadere tutto al più presto, restano comunque impegni già presi e attività che dovevano essere svolte comunque adesso che intasano e prendono ogni secondo libero.
E intanto loro ci guardano e ci sorridono, rassicuranti da tutte le loro foto che abbiamo in casa e sembrano dire “su, su, fate gli adulti. Noi ne abbiamo passate ben di peggio, abbiamo molta, ma molta più paura di voi, eppure siamo qui che sorridiamo e vi stiamo aspettando”.
Justice for everyone, sort of
The more I think of it, the more it looks wrong. The current proposal against irregular immigration aims to deter immigrants from committing crimes by increasing the punishment by one third if the criminal is an irregular immigrant. If we start from the ones damaged by a crime – the damage is the same regardless to whom committed it. Regardless he is Italian or Rom, regardless he is rich or poor, regardless everything.
According to this proposal it is like Italians (or regular aliens) are somewhat more entitled to commit a crime than others. It doesn’t make any sense.
The real problem is how justice is clobbered and ineffective in Italy. It is clobbered and ineffective to everyone, not just non-regular people. Way too often Italian can’t see their rights acknowledged just because of byzantine laws, never ending trials (that could last decades!), expensive lawyers, ineffectiveness of class actions. The only chance we get is lower the head and carry on (or migrate to a more ethical country).
Therefore the real solution would be to empower courts and lighten up procedures so that we can get real justice for everyone, not just against a class of people – that’s called racism.
Free as in beer
Writing free software is like being paid for doing something you would do anyway, but without the “being paid” part.I suspect that the double meaning of the english word “free” is causing a major damage to the software industry. Although I plenty support the “free-as-in-speech” concept for the software, I am quite contrary to the “free-as-in-beer” wildly applied to every kind of software.
I consider “free-as-in-speech”, as I understand it, a sort of right of the customer – she/he is entitled (possibly for an extra) to have the source of the software you bought. That makes sense because your needs may be different from those of anyone else, and, in this way, you can customize the software to suit your needs.
You pay professionals to write an industrial strength, well polished, product, then you twiddle the ends to match your environment.
The “free-as-in-beer” is quite the opposite, you get the software for free sources and all, then, if you need, you pay someone to fix the loose ends.
From the customer point of view this is great. It would be like someone designs and builds you house for free, then you decide to keep it as is, or to pay someone to move a wall or a door.
From the software industry is a major damage at two entangled levels – money and competition. This model pushes much less money in the developers’ pockets, because customers pick free alternatives and even if they decide to pay someone for customizing them, the total money are less than what would be if everybody paid for a non-free product.
The “free-as-in-beer” has moved in the past 30 or so years, from filling empty niches for small utilities (where it could make sense) to competing against full featured applications. As Netscape teaches – you can’t compete with something given away for free.
Competition against a free product is hard, not to say, impossible. You have to compete on quality, innovation and features. And all those cost money. Though there are exceptions, free software usually tends to copy innovation from industry leaders. Quality is hard to achieve, but quality itself does not sell. What sells is “perceived quality”, i.e. the quality that the customer believes your product has. This is even harder to achieve because you have to issue focus groups, interviews, you have to work on your brand and promote it. That means a lot of money, too.
Features is another hard field, because most users exploit a few percents of all the feature-load that comes with the application. It is hard to invent something new that could appeal the customer to make a choice. New features come either from increased computing power and from research. Computing power is provided by the hardware manufactures and it is out of the developers control. Research is expensive if done in-house.
This train of thoughts brings me to the following question: “Why are we doing this?” Why programmers are happy to work for free and not, say, dentists? Ok, let’s take a less dependable example – plumbers. Why plumbers do not their job for free? I suppose that there are two reasons for this. The first is that a plumber’s work consumes materials. They need to buy and lay pipes that are not for free. A programmer does not consume any material, it is just a matter of time. Next the work of a plumber is not freely replicable, i.e. if the plumber installs a building, than he can’t copy’n’past his work on the next building.
It is all about perception – programmers are caught in a trend that is grinding music and movie industries. Among the three industries the software one is the one in the worst position, in fact the other two can count on well established labels and brands – usually you don’t consider novice singers and amateur musicians as a free alternative, a valid replacement of the work of known composers and singers.
Then there are economic interests – IBM and Sun are two of the most prominent free-as-in-beer software supporters and it has nothing to do with philanthropy. IBM and Sun business is selling hardware, usually expensive hardware and free software helps in selling more hardware because customers do not need to pay software licenses when upgrading or expanding their installed base. Google also sponsors good free-as-in-beer (but not free-as-in-speech) software because their business is advertising and free software provides the vehicle for their business.
All said, what are the chances for us programmers in the future to be paid for programming? I think there are three options – work on integration, i.e. customizing free software to suit specific user needs; work for niches where no free software exists; work for IBM, Sun or Google where people gets paid to write free-as-in-beer software.
Thank you for welcoming
It was quite a time I wished to add this old document to the my website. A new section (not yet visible from the blog, but visible from the rest of my site) is intended to host my memories of those bright days the Universe was young, full of High Ideals and Good Ideas and I worked in the Videogaming Industry. The story of “Grazie di Benvenirli”. I started that document somewhere in 2001-2002. From a chronological point of view I would say around the Silver Age. Soon after I started typing some HTML code I realized that the right choice was to use some software to manage dictionary entries. The then-new wiki seemed to be a good idea, but it lacked a dictionary-oriented style and the “printable” layout. So I wrote Webdict a rather rough web application, my first PHP program, and installed on a company internal web server. My coworkers accepted enthusiastically to add their contributions and the dictionary grew for a while. Unfortunately the server was put off-line and recycled and the webdict content went lost.
The surviving part you can read is mostly my contribution, what I wrote in HTML. I gladly welcome terms and definitions to add from all my friends and coworkers of those glorious days.
Cloud Appreciation Society
When I read Cloud Appreciation Society I first thought to something like the Flat Earth Society, but it turned out to be a really rich site full of wonderful pictures of the skys and clouds. Spend a couple of minutes in their gallery (it could be set in “slideshow” mode) and be delighted.