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Capottati nell’altro mondo

Siamo a Bogotà, a El Portal, il piccolo albergo a conduzione familiare che ci aveva accolto per qualche ora al nostro arrivo in Colombia (giusto per essere precisi un mese esatto fa). La giornata è stata un po’ dura. Juan era in ansia di partenza e ha iniziato a mugugnare alle 9:00 perché voleva andare sull’aereo “adesso”. Mariana invece è stata distante e provocatoria tutto il giorno cercando la rissa. Da quando siamo usciti dall’appartamento era come se vivesse in un altro mondo, si è isolata ed era inavvicinabile.
In definitiva, come abbiamo constatato oggi pomeriggio, c’abbiamo due aureole così.
Il viaggio aereo, breve, è andato bene, così breve che appena le hostess hanno finito la corsa per distribuire le bibite, hanno iniziato quella per raccogliere i rifiuti e l’aereo è atterrato. Juan era contentissimo, rideva e diceva quello che stava succedendo, insomma entusiasta. Abbiamo avuto solo un attimo di panico quando non abbiamo visto le nostre valige sul nastro trasportatore… Fortunatamente sono arrivate con il secondo giro.
A Bogotà ci hanno accolto la pioggia, una temperatura freschetta e una tassista.
Qui a El Portal ci sono altre coppie, altri bambini, ci sono i giochi e c’è uno spazio libero per i bambini comunque sicuro. I genitori possono tirare qualche respiro senza dover costantemente avere sotto controllo la situazione. Ci hanno offerto un caffè espresso (finalmente!) e noi ci siamo subito rilassati: Ale saltava la corda e io suonavo “per Elisa” su una pianola senza pile dicendo le note.
Come mi ha detto il mio amico Xtè, sopra ai 35 anni c’è un aumento degli incidenti sportivi. Dopo anni di vita sedentaria, si pensa di poter giocare ai vari sport come ai vecchi tempi e … patatrack! Succede l’infortunio. Più o meno nella stessa maniera, oggi, per raccogliere un pallone, mentre giocavamo a pallacanestro, sono scivolato e ho fatto una specie di “spaccata” violenta. A 2600m s.l.m. e con un male biscio sotto la coscia mi si è appannata la vista e mi sono dovuto sedere.
A parte questo c’è un clima molto famigliare, la sera si cena tutti vicino in un saloncino.
I nostri figli hanno accolto molto bene i giochi, un po’ meno il dover rimetterli a posto e Juan ha tentato di dare spettacolo alla cena rifiutando il cibo senza nemmeno averlo assaggiato (praticamente senza quasi averlo visto) e tentando di mangiare le patate con le mani anziché con le posate. Poi, probabilmente perché sentiva di fare la figura del babbione, si è adeguato.
Anche perché gli altri bambini sono tutti composti a tavola, dai 3 anni ai 10, mangiano senza fare storie, si alzano solo quando tutto è finito e i loro genitori hanno un’aria così rilassata….
Questa sera i bambini delle altre coppie ci hanno coccolato, facendoci da mangiare (per finta), una gara a chi preparava più piatti per noi, addirittura Ale è stata imboccata da un bimbo di 4 anni!
La camera è una sola, ma è grande. Peccato (che sia una, non che sia grande), perché un po’ di intimità la sera, per parlare tra di noi, non era male. Adesso siamo in una saletta fuori della camera.

ecco la prova che Ale è ancora tra noi… anche se il sorriso del “ceffo” che ha in braccio non è molto rassicurante.

Estremi

Un’altra giornata nuvolosa, ma stupenda perché domani partiamo per Bogotà e, casualmente, domani facciamo anche il nostro primo (e speriamo ultimo) complimese di Colombia. Sarà la partenza che si avvicina, sarà che i Power Ranger dopo un po’ stufano, sarà la gelosia, sarà quel che sarà, ma anche questa mattina prima una (molto presto) e poi l’altro (verso le 6:30) sono finiti tutt’e due nel nostro lettone.
Mariana si è presa metà letto, e noi tre siamo rimasti compressi nell’altra metà. Ieri mattina, stessa cosa, e Juan aveva esclamato: “siamo una famiglia felice”. Questa mattina non l’ha detto, ma i risolini, le coccole e gli occhietti furbi lo dicevano per lui… per qualche minuto è stato idilliaco, poi è ritornato in sé e ha iniziato a fare scherzetti e solletico a destra e a manca. La prima parte è molto piacevole se hai sonno, la seconda è brutale. Ci siamo alzati barcollando con lo sguardo spento cercando di capire chi aveva spostato il bagno dal solito posto.
I bambini di prima mattina sono stati un incanto: si sono messi a giocare insieme, senza litigare, con il bambolotto di Mariana. Lo coccolavano, gli davano da mangiare… una tenerezza infinita. E un bel respiro per noi genitori in trincea.
E per la prima volta Mariana si è lasciata fare il bagno completo da mamà! Un evento perché di solito vuole fare tutto lei (e non solo il bagno).
A volte sembra proprio che Juan voglia rovinarsi quello che potrebbe essere un momento di normale felicità, oppure come se un piccolo incidente, una incomprensione perfettamente risolvibile (e risolta) lo pongano in un “binario” degenerativo da cui non riesce a uscire se non dopo essere passato per il calvario di pianti, strepiti e opposizione “dura” (oggi le ho prese anch’io). E così, purtroppo, oggi è passata la mattina: facendo la doccia forzata, vestendolo a forza in due e trascinandolo fuori per andare a pranzo.
Prima di uscire passa l’impiegata dell’agenzia a cui dobbiamo dare i soldi dell’affitto dell’appartamento. Mariana si prodiga in uno show indegno: regredisce a 1 anno e mezzo facendo smorfie, tenendo costantemente fuori la lingua, andando addosso alla signorina e nascondendosi, il tutto senza filarci di striscio. Come questa persona lascia l’appartamento (con il malloppo), lei ritorna “normale”. Dopo mercoledì alla sentenza, questa è la conferma che a El Portal a Bogotà ci sarà di che allenarsi per il ritorno nel mondo sociale.
Mission of the day era fare le foto per passaporto e visto. Purtroppo al nostro centro commerciale di fiducia non possono farle del formato giusto (e comunque Juan non vuole farle perché è ancora immusonito da prima). Ci indirizzano verso il San Diego, il centro commerciale dirimpetto all’Alma Center dove siamo stati ieri.
Ci incamminiamo e troviamo una bella sorpresa: il San Diego è un centro commerciale all’aperto: negozi e ristoranti si affacciano su cortili interni di un piccolo isolato, pattugliati da un numero smodato di guardie giurate.
Qui riusciamo a fare le foto (“convincendo” anche Juan) e poi andiamo a pranzare al frisby perché Juan voleva il pollo con il riso. Una volta seduti lui prende patatine e fagioli che, per quanto “delisiosi”, ne lascia metà. Dopo pranzo ricadiamo nel Crepes & Waffles per i gelati, dove non è che vada benissimo perché i pargoli si inzigano vicendevolmente di continuo.
Il ritorno va relativamente bene visto che dobbiamo andare a fare le valigie per Bogotà. Anzi da lì la situazione migliora. Appena entrati in casa il dinamico duo si butta a fare le borse, riempiendo alla rinfusa i loro due zaini. 2′ ed è finito.
Naturalmente non solo gli zaini sono da rifare, ma i due iniziano a cercare l’interazione con noi mentre cerchiamo di fare le valigie. Noi mettiamo, loro tolgono, spostano, mettono altra roba… alla fine li mandiamo a vedere la TV. Purtroppo a Mariana la TV non interessa molto e dopo un pisolino scoppia un’altra crisi.
Cena e dopocena passano molto bene. Juan si è trasformato in un angioletto. Addirittura mi viene a cercare per chiedermi se sono già le 21:00 e quando gli dico di sì, va a spegnere la tv. Anche Mariana non è da meno, non cerca l’attenzione a tutti i costi e alle 21:15 la luce era già spenta.
E finalmente riusciamo a chiudere le valigie. Più o meno è tutto pronto.
Una giornata strana, per molti punti di vista, in alcuni momenti abbiamo visto gli estremi dei nostri figli, abbiamo fatto cose nuove e visto per l’ultima volta (o comunque per parecchio tempo) luoghi ormai quotidiani. Il ferramenta da cui avevamo comprato la spina per il PC ci saluta ogni giorno, il centro commerciale dove abbiamo passato tanto tempo (“ma vivete qui o siete di passaggio” ci ha chiesto la cassiera del locale dove andiamo di solito a mangiare), il carrefour dove facciamo la spesa quasi ogni giorno e stoicamente resistiamo agli innumerevoli “quiero este”, le guardie che ormai ci conoscono e sanno che se ci vedono con i nostri bambini urlanti e isterici non è perché li stiamo scorticando vivi, magari non sanno esattamente il perché (probabilmente hanno rinunciato a cercare di capire), ma almeno non ci hanno arrestato.
Insomma il nostro piccolo mondo di quest’ultimo mese. Per i bambini sarà un altro grosso cambiamento: partire un’altra volta verso l’ignoto con questi due ancora poco conosciuti “visi pallidi”, strani e a volte incomprensibili che gliene combinano di tutti i colori.

P.S. Adesso le vocali accentate e gli altri simboli funzionano correttamente nei commenti.

E gira gira l’elica, romba il motor… domani si va su quello vero!
Corri cavallo, corri ti prego
Dal nostro balcone una veduta da giudizio universale.
Ecco gli zainetti (riveduti e corretti)

Aspettando Bogotà

Dopo aver saputo che sabato si cambia città, sembra di vivere una sorta di “già-non ancora”. Pensiamo già a Bogotà, ma non ci siamo ancora.Questa mattina ci siamo svegliati con Mariana nel letto, si è presentata ad Ale, in piedi che era ancora buio e lei, probabilmente più assonnata che intenerita, l’ha fatta accomodare.
Il momento piacevole del pisolicchio dopo la notte di sonno e prima di un giorno senza orari, quel momento in cui ti sembra di poter rimandare indefinitivamente il momento di aprire gli occhi, di poter decidere quando essere veramente sveglio, è stato interrotto dall’irruzione di Juan che ha iniziato a farci gli scherzi e ha acceso i power ranger in camera nostra… almeno sembrava contento.
Anche oggi, andando al centro commerciale, i piccoli ci hanno sorpreso per la loro compostezza: niente storie, niente soste ad ogni sasso o riga del marciapiede, niente “voglio” davanti ai vari baracchini che si incontrano per strada… si vede che essere Pagani-Crespi li ha cambiati.
L’obiettivo era quello di cambiare gli euro per poter pagare l’affitto della casa. Purtroppo al centro commerciale di fiducia non c’è nessun ufficio di cambio, così ci mandano quattro isolati più avanti all’Almacentro, un altro centro commerciale.
L’almacentro è più cupo, meno moderno e scintillante. Chiediamo alla guardia che ci indirizza in una finanziaria. Iniziamo a provare un gusto sadico quando, immobilizzati dalle lunghe attese, i piccoli iniziano a sfogarsi con le suppellettili dell’ufficio se non direttamente con gli impiegati. Così imparate a farci aspettare! Oggi Mariana ha sbirciato dentro il bancone di una impiegata mentre questa, cercando di ignorare il suo sguardo e i suoi sorrisini ammiccanti, tentava imperterrita di lavorare.
Il risultato è però che non ci cambiano tutti i soldi, adducendo come motivazione un non meglio precisato limite e comunque vogliono il passaporto originale che teniamo a casa: in giro portiamo una copia.
Un po’ scorati usciamo e Ale vede un altro ufficio di cambio… anche se ci chiediamo come mai le guardie ci abbiano indirizzati proprio nella finanziaria, entriamo e… in quattro e quattr’otto usciamo con un sacco di banconote colombiane (non senza prima aver lasciato l’impronta digitale).
Visto che serviranno le foto tessera per passaporti e visto cerchiamo di farle, ma il fotografo dove veniamo recapitati è a dir poco rustico (e anche non particolarmente simpatico).
Incastra un pannello di polistirolo sulla porta come sfondo e ci mette davanti uno sgabello instabile. Mariana deve stare in piedi con Ale che la tiene per le caviglie… accovacciata per non entrare nella foto. Juan può stare seduto. Mentre noi aspettiamo, aspettiamo, le due commesse litigano con il computer, ci richiedono se le foto le vogliamo proprio di quel formato… dopo almeno 10 minuti ci dicono che non possono fare queste foto perché la macchina fotografica (una digitale economica) non ha l’ingrandimento necessario e che dovremo rivolgerci ad un fotografo (vero, aggiungerei) in un altro centro commerciale.
Sfiancati, torniamo al nostro Premium Plaza dove mangiamo. Prima di tornare a casa passiamo dal supermercato e compriamo dei giochi ai bimbi. Questa volta però li conosciamo un po’ meglio e facciamo in modo di pilotare (o forse sarebbe più corretto dire “vincolare”) le scelte. Per Juan 3 macchinine Hot Wheels a sua scelta e per Mariana una bambolina. Come si può vedere dalle foto sotto hanno apprezzato tantissimo ed hanno giocato per tutto il pomeriggio e tutta la sera (adesso sono a letto rispettivamente con macchinine e bambolotto).
Mariana da due giorni è particolarmente nervosa e questo lo esprime con gli atteggiamenti possibili per una bimba di 3 anni e mezzo: ascolta meno del solito, è più provocatoria, accetta meno i contatti e le coccole. Questa sera si è addormentata prima di cena. Ale ha prima cercato di svegliarla senza successo, poi ha commesso l’errore di prenderla in braccio, Mariana, nel sonno, s’è avvinghiata. Per quanto Ale tentasse era impossibile togliersela di dosso e metterla sul divano. Così ha mangiato seduta sul divano con Mariana in braccio.
Dopo cena Mariana s’è svegliata con una faccia minacciosa e ha iniziato a pestare Ale, prima adagio ancora intorpidita dal sonno, poi ha aumentato l’intensità. Dopo essere stata messa giù, Mariana, ha iniziato ad insultarci, sempre più spesso, mentre noi la ignoravamo, e infine a sputare sul divano. A questo punto l’abbiamo presa e lei ha iniziato la crisi. Sempre cercando di graffiare, mordere, dare calci. Meno male che ha tre anni e mezzo e non è armata (armi naturali a parte).
(Riflettevamo giusto ieri, ripensando alla scena della mattina: l’impiegata del tribunale con Mariana in braccio teneramente… non sapeva di tenere tra le braccia una bomba pronta ad esplodere in qualsiasi momento).
Comunque la crisi è rientrata: l’abbiamo lasciata stare per un po’, mentre si placavano i singhiozzi, è rimasta a guardarsi nel riflesso della porta-finestra, poi è andata in camera dal fratello. Quando siamo andati anche noi, pochi minuti dopo, ha riallacciato con tutt’e due con delicatezza, giocando e sorridendo.
Passata l’emergenza crisi (siamo giù a 1 al giorno) si vedono tutti gli altri problemi: le dinamiche del dinamico duo, le gelosie, gli impuntamenti, i loro litigi. Una matassona ingarbugliata a metà strada tra un nodo gordiano ed una partita di Shangai. Noi siamo “solo” due e più volte siamo indecisi davanti a certe scelte che farebbero bene a uno, ma male all’altro (oppure scatenerebbero ire fuoriose).
Siamo anche un po’ in pensiero per i cambiamenti di Bogotà. Innanzitutto ci sarà il “cambiamento” e questo sarà sicuramente foriero di tensioni e crisi varie. Poi saremo in albergo anziché in residence. Da una parte più comodità per pasti e pulizie, più socialità con altre famiglie adottive e spazi perché i bambini giochino insieme, dall’altra più tensioni “sociali”, meno intimità, spazi più ristretti… vedermo, se siamo arrivati fin qui non ci arrenderemo di certo davanti a queste cose… almeno non dovremmo.

Tribunale settimo della famiglia

Anche grazie al fatto che ieri sera avevamo sequestrato la televisione, questa mattina ci siamo svegliati al suono della sveglia (6:45) mentre i nostri figli ancora dormivano con la loro aureolina ben fissa sui cornini 🙂 Tutto sommato la preparazione e l’uscita di casa è andata come previsto. Viaggio in taxi di calma piatta, tipo prima della tempesta, con torta, bibite, tovagliolini, piatti, forchettine e bicchieri. Al tribunale incontriamo il nostro avvocato. Ci accomodiamo in un ufficio, purtroppo la giudice oggi non ci sarà, ma la festa si farà ugualmente. I bambini smettono di essere spaesati non appena un’impiegata inizia a gonfiare dei palloncini colorati.
Mentre Juan e Mariana prendono confidenza con gli impiegati dell’ufficio (poveri loro), noi controlliamo i documenti e ci accorgiamo che ci sono un po’ di errori (le doppie “S” dei nostri nomi si erano magicamente convertite in “X”). Niente di grave: la sentenza sarà comunque emessa oggi, ma dobbiamo attendere che vengano effettuate le correzioni. Intanto mangiamo la torta e beviamo le bibite.
Per rispondere a Jessica, la torta era tipo pan di spagna con un succo o uno sciroppo di qualche frutto locale. Il nome non l’abbiamo capito, ma conteneva la parola “Leche” (latte), quindi probabilmente c’era anche questo ingrediente. La coca cola (anzi Pepsi per la precisione) è stata solamente bevuta, siamo riusciti a risparmiare il lavoro extra all’impresa di pulizie del tribunale.
L’attesa si prolunga, si prolunga e poi diventa ancora più lunga. I bambini iniziano a dare segni di insofferenza. Vanno dai vari impiegati a cercare attenzione (Mariana) o videogiochi (Juan). Dopo un po’ smettiamo di cercare di contenerli: è una partita persa. Oggi quell’ufficio ha avuto un brusco arresto della produttività.
Tanto per spargere un po’ di sale sulle ferite, Mariana oggi stava in braccio ad un’impiegata, si faceva dare i baci, si faceva fare di tutto, anche disegnare sul suo foglio, cose che il più delle volte rifiuta aggressivamente da Ale.
Al fine arrivano le correzioni, firmiamo, salutiamo il gentile pubblico dicendo che ci saremmo fermati ancora volentieri, che la compagnia era bella, ma tutte le cose hanno un fine… non sempre uno scopo. L’orologio è avanti di due ore rispetto a quando siamo entrati. Due ore di FESTA… capirai che festa per noi.
Comunque a questo punto Juan e Mariana hanno i nostri cognomi: Pagani-Crespi. Dal punto di vista burocratico logistico adesso succederà questo: il collaboratore dell’avvocato si farà nove ore di macchina, tra la montagna e la giungla, sfidando il pericolo (davvero) per andare nel comune dove sono nati i nostri figli e richiederà il nuovo certificato di nascita (che verrà riemesso con i nostri cognomi). Dopo altre nove ore di macchina del ritorno ci consegnerà questi documenti. In ogni caso partiremo per Bogotà sabato pomeriggio, dove si svolgerà il resto dell’iter.
Oggi probabilmente è la giornata dell’orario colombiano. Infatti ci siamo recati all’agenzia viaggi per prenotare il volo per la capitale. Non si riusciva a venirne a capo, sarò stato dentro tre quarti d’ora con i bambini che, già provati dal tribunale, erano nervosi e irascibili. Alla fine emergiamo dall’agenzia con i nostri quattro biglietti… ora di andare a mangiare.
Il pranzo di oggi è stato, qualitativamente, il peggiore da quando siamo qui. Sarà che eravamo stanchi anche noi, sarà che i litigi e le discussioni su chi mangia cosa e chi lo fa per prima ci avevano sfinito, io e Ale abbiamo scelto di fretta due piatti che, francamente, potevano anche rimanere dov’erano.
Al pomeriggio, dopo il ritorno a casa, decidiamo di andare a fare merenda con un bel gelato al Crepes & Waffles.
Per cena scene di abbandono del desco familiare con resti in tavola… abbiamo il frigo pieno di avanzi e abbiamo deciso che riproporremo i piatti fino a che non vengano consumati. E, grazie a questa nuova ed illuminata politica, non avremo più bisogno di andare a fare la spesa (anche perché a Bogotà saremo in albergo… e come dice qualcuno di mia conoscenza con aria di scherno: “lollo-lollo!”).
Questa sera, dopo cena, strana “ricucitura” di Juan, che prende l’album (quello che gli abbiamo spedito dall’Italia) e chiede di vederlo con me e anche Ale si aggrega. Guarda, commenta, chiede che gli legga quello che avevamo scritto. Chiede di aggiungere un disegno nelle pagine vuote e viene fuori un piccolo capolavoro: sotto un sole felice e due nuvole altrettanto felici, un lungo e tortuoso cammino si snoda da Medellin all’Italia, passando per Bogotà; e un aereo ci trasporta tutti (con tanto di corona in testa) insieme a (un insolitamente capelluto) abuelo Nando, abuela Rosa e tio Edo (anche loro incoronati). E tutto contento si firma PaganiCrespi.
Ebbene sì, anche questa tappa Medellinense sta per concludersi, con tanti ricordi, tante emozioni su tutto lo spettro possibile e qualche rimpianto. Alla fine di Medellin abbiamo visto pochissimo e, da bravi viaggiatori, questo ci dispiace.

Pagani-Crespi
siamo appena arrivati e già i nostri figli iniziano a dare segni di insofferenza.
Crepes & Waffles
idem
Il disegno di questa sera, con tanto di didascalia. Sull’avion ci sono (da sinistra a destra) il pilota, papà, Juan, mamà, Mariana, abuelo Nando, abuela Rosa e tio Edo. La casa dell’Italia ha una scala che conduce al piano della nostra abitazione con due finestre una della nostra camera e l’altra della loro.

2 buone notizie

La prima è che finalmente la sentenza è stata fissata per domani. Come da copione la telefonata è arrivata mentre eravamo al parco e non abbiamo sentito il telefono. Ci siamo accorti solo dopo che c’erano due “risposte senza chiamata” (così le ha definite Ale nell’emozione del momento). La seconda è che oggi non ci sono state crisi, il che non è facile perché spesso sembra che Juan cerchi di far andare male le cose, come se non riuscisse a reggere la sensazione di essere felice o sereno. La cosa poi rischia di diventare contagiosa perché Mariana risente dell’influenza nefasta (del momento) e si innervosisce. La nostra sensazione è quella di camminare sempre sul filo del rasoio: una risposta sbagliata, un no di troppo, un’azione non desiderata e l’equilibrio si rompe. Negoziare, distrarre, pazientare, passare al livello dello scherzo o del gioco sono il bilancere da equilibrista che utilizziamo ogni secondo in questa lunga attraversata senza rete.
Ormai abbiamo abbastanza ingranato a livello operativo, quindi i tempi di preparazione (vestizione, lavaggio, bisogni, colazione) si sono notevolmente ridotti. Il surplus è occupato da Juan con la televisione e da Mariana cercando l’attenzione di Ale (o anche mia in alcuni momenti).
Verso le 11:00 abbiamo fatto chiamare un taxi e siamo andati al Parque Norte dove, ormai, ci riconoscono tutti. Alla cassa diciamo “il solito” allungando la carta di credito. Scherzi a parte sia un operatore alla giostra che una cuoca della tavola calda ci hanno chiesto se viviamo qui.
Durante la mattina Juan ha la “piva”. Non capiamo perché, ma il suo sguardo corrucciato, l’espressione dura, lo scarso entusiasmo non possono essere equivocati. Per fortuna durante il pranzo gli passa, ma l’interrogatorio per capire un po’ di più ha scarso successo (per non dire nullo).
Nel pomeriggio il cielo si annuvola e inizia a piovere. Anche qui facciamo chiamare un taxi e ci facciamo recapitare al centro commerciale per gelatino di merenda e per recuperare una torta. Infatti il giudice domani si aspetta non solo di vedere tutta l’allegra famiglia, ma anche di festeggiare con torta e coca-cola.
“Mi raccomando, al centro commerciale, si sta tutti vicini e NON SI CORRE!”, questo era quello che dicevamo qualche giorno fa, ma oggi, vista l’euforia della festa, ci siamo fatti trasportare e abbiamo corso, tutti e quattro insieme tenendoci per mano… be’ comunque almeno siamo stati tutti vicini.
Al centro commerciale si notano i primi segni di insofferenza del dinamico duo e gravati dal peso di una tortona (più piccole non ne abbiamo trovate… altro che dieta!) decidiamo, per la terza volta oggi, di farci chiamare un taxi e di tornare a casa.
Il viaggio di ritorno non solo è in equilibrio sul filo sospeso sulle rocce appuntite, ma il filo si sta sfilacciando minacciosamente. Mariana non ne vuole sapere di stare seduta bene e di non dare fastidio al fratello e quando l’afferro ripete sinistramente “gnà gnà gnà”.
Arrivati a casa va tutto bene, anche la cena. L’ultimo scalino in cui inciampiamo è, prima di andare a letto, la famigerata telenovela: Juan non si vuole schiodare dallo schermo (e la sorella dietro a ruota). Spegnamo la tv, mugugnando lui la riaccende, togliamo la spina, lui la vuole rimettere. Esasperati smontiamo la tv e la portiamo in camera nostra. Evitiamo che lui lanci il copricomodino di vetro e alla fine si mette a letto.
Poi recupera tornando in sala e mettendosi a colorare. Per fortuna. Era un periodo che andava sempre a letto con la “litigata calda” e stavamo cercando un modo di evitarglielo. Ieri sera era andata bene, oggi è andata così e così, la nostra speranza è che pian piano tocchi con mano che anche lui può essere sereno e che ne ha il diritto.
Per Mariana il momento di addormentarsi è più tranquillo, scandito da un rituale abbastanza preciso (e ripetitivo): pigiama, denti e poi prende la sua copertina a mo’ di Linus e si mette sul pavimento in soggiorno con Alessandra (o sul balcone se non piove). Poi si raccontano a vicenda la storia della “Bruja Cocinera”, e poi Mariana si addormenta di botto. Tipo ‘stasera, parlava e un istante dopo era addormentata.
Domani l’avvocato si presenterà alla nostra porta alle 8:15, quindi… dovremo sbrigarci.
(PS: il numero riportato sotto, che ora è poco più di 1300, è un rimasuglio di cose precedenti, non è molto affidabile, comunque siamo andati a vedere e ci siamo piacevolmente sorpresi nello scoprire che lì fuori, che ci seguite, siete in 35-50, un carissimo saluto a voi tutti!).

Mariana in file al Parque Norte, per un (finto) voletto sull’avion
Il dinamico duo esausto sul taxi.
C’era un trono vacante…
Mi sto allenando per arrivare a questo peso forma.
Juan a cena che cercava invano di non farsi fotografare.

Sempre in attesa di una telefonata

Sembra il tormentone, ormai gli amici non ci crederanno più, ma sono due anni e mezzo che siamo in perenne attesa di una telefonata, prima dei servizi sociali, poi dell’idoneità, poi dell’abbinamento, poi della partenza… insomma l’ansia corre sul filo del telefono. Spero che una volta tornati in Italia potremo smettere di sobbalzare ad ogni trillo di telefonino dei vicini, ad ogni bip elettronico che suona nelle vicinanze. Oggi la giornata è passata pigramente (nel senso che non abbiamo fatto nulla di particolare, non nel senso che abbiamo oziato) tra mattina in casa, pranzo al centro commerciale, sala giochi e spesa.
E tutto sommato, a parte un parentesi con Mariana (e le continue richieste di acquisti durante la spesa), la giornata è andata bene: Juan ha dominato l’ansia della sala giochi divertendosi, uscire non è stato un problema; pranzo e gelato sono stati sereni.
Finalmente il dopocena per Juan è stato sereno. Qualche impuntatura che siamo riusciti a superare, ma siamo riusciti a farlo andare a letto tranquillo sorridente. Per Mariana non è andato male, ma era più agitata del solito e ha fatto fatica a prendere sonno.
Nota di colore (giallo): ieri durante la macchinata un asciugamano arancione ha lasciato il colore su tutto il bucato chiaro… è un mondo difficile…
Il fratello di Ale ci ha chiesto come facciamo tutte le sere a scrivere qui. Il motivo fondamentale è che ne abbiamo bisogno: è una valvola di sfogo, un momento nostro in cui ripassare e rivedere la giornata. Il secondo motivo è che ci piace tantissimo e ci dà forza leggere i vostri commenti e le vostre mail, senza di voi sarebbe molto più dura.

Juan alle prese con un piatto di costine
Un gioioso saluto da un centro commerciale a caso. Per gli amici di MR&D, si noti il nome del negozio sullo sfondo.
La nostra sana ed equilibrata dieta. La cosa tonda e piatta è un’arepa – cioè una specie di pagnottina di farina di mais.
Eccoci finalmente alla sala giochi del centro commerciale!
Cioccolato yum! Un po’ ne ho anche mangiato.
“Il mio tessoro” Ale e Mariana mi stavano preparando uno scherzo nascoste sotto il tavolo.

Jardin Zoologico

Questa mattina ci svegliamo al suono di musica sacra… tendiamo l’orecchio: stanno ascoltando la messa. Il primo pensiero è: “stanno studiando le mosse dell’avversario”. Visto che anche noi a testa dura non scherziamo, riproponiamo il programma di ieri: lo zoo.
Allo zoo, Juan chiede di andare sulle giostre che ci sono all’entrata e noi rispondiamo picche: siamo qui per vedere gli animali, quando andremo al parque norte ci saranno le giostre. E così mette subito il muso che riesce a mantenere per tutta la mattina. Mariana invece si gode la visita, ammirando stupita gli animali del giardino.
In sè il giardino zoologico è un po’ triste, ci sono gli animali classici (anche se manca il leone), qualche animale autoctono, in spazi piccoli e poco curati. Forse chi sta meglio sono gli uccelli di cui ci sono tanti esemplari di molte specie differenti.
Ritorno tragico in taxi con Mariana che morde il sedile mentre urla.
Pranzo al centro commerciale e pomeriggio pure. Un pomeriggio fantastico, sembravano altri due bambini. Anche al Crepes & Waffles, luogo che più volte li ha visti mettere a soqquadro il locale e la pazienza dei genitori, si sono comportati benissimo. Hanno colorato, hanno finito tutto il gelato, sono stati seduti… quasi dei piccoli Lord (sì, quasi).
Cena a casa con musica di sottofondo procurata da Juan e dopocena tragico…

(voglio salire sulle giostre, non vedere animali)
Nessuno della famiglia
Il nostro ristorante di fiducia… l’unico che non mette il cartello “chiuso” quando ci avviciniamo. La guardia sulla destra è una di quelle che ci controlla periodicamente.
Il gelato dell’altro ieri.
Un cielo minaccioso… molto minaccioso.
La bella sorride sul balcone… in faccia al cielo minaccioso
Musica e danze.

Tace il telefono

Purtroppo anche oggi il telefono è rimasto muto. In compenso Juan ci ha regalato una giornatina che non dimenticheremo presto. L’idea era quella di andare tutti insieme allo Zoo. Non condividiamo particolarmente questo tipo di intrattenimento a scapito degli animali ingabbiati, ma le risorse di Medellin si stanno rapidamente esaurendo. Purtroppo una serie di rifiuti e di quello che noi ora chiamiamo la “ricerca della rissa” ha dato luogo a due confronti piuttosto pesanti. Al punto che Juan, Ale e, per simpatia, Mariana si sono addormentati dopo pranzo e hanno dormito qualche ora.
Ma perchè parlare sempre di capricci & affini? Parlerò un po’ di Medellin e della gente.
Medellin è una città grande, molto grande. La foto che abbiamo pubblicato mostra una piccola fettina del panorama e non rende l’idea di quanto Medellin sia grande. In mezzo a Medellin c’è un aeroporto. La nostra casa è un palazzo moderno in una zona residenziale. Abbiamo una portineria con tanto di guardia giurata. La breve via privata si affaccia su una strada ripidissima: non c’è nessuna indicazione, ma così ad occhio potrebbe essere sopra al 35%. Le macchine che salgono fanno una fatica bestia.
Da questa strada (alberata) si finisce su una grossa arteria a doppia carreggiata. I marciapiedi sono ampi, delimitati da basse case con numerosissime attività commerciali. Per quello che abbiamo potuto vedere di Medellin, ogni metro lineare di strada è occupato da un qualche negozio, ufficio, officina o altre attività.
Il traffico è caotico, composto da un assortimento variegato e fantasioso di auto, camion, corriere, truck, moto, motorini e carretti a cavallo. Tutti questi mezzi si sorpassano nei modi più azzardati suonandosi reciprocamente e incuranti dei pedoni. Essere un pedone a Medellin può essere moderatamente pericoloso: non ci sono i semafori per i pedoni. Cioè si può attraversare quando è rosso per le macchine, ma nel senso dei camminatori non c’è nessuna indicazione luminosa. Si attraversa quando le macchine sono ferme. Anche gli attraversamenti delle doppie carreggiate (ne avevo già scritto) sono piuttosto laboriosi. Se va bene ci sono due semafori pedonali non sincronizzati che obbligano quindi ad una pausa nel mezzo. Se va male ci sono giri rintorcinati che obbligano a 4 attese.
La gente che abbiamo incontrato è veramente gentile: dalla guardia giurata che ha offerto i lecca-lecca ai bambini (e a noi), al commesso del negozio Speedo che, quando non siamo riusciti a trovare un costume della taglia di Juan, ci ha portato di persona in un altro negozio che poteva averlo (in effetti poi non ce l’aveva, ma questa è un’altra storia).
Quando ringrazi la risposta è “con mucho gusto”. Sarà una formula di rito, una frase fatta, ma è proprio bella e spesso viene detta con tale convinzione che ti fa dubitare che sia un modo di dire.
La temperatura è sempre gradevole, si sta tranquillamente in T-Shirt e pantaloni leggeri. Siamo in montagna e quindi il tempo è variabile. Una giornata splendida si può annuvolare e si può scatenare un temporale intenso, come può rimanere nuvolo tutto il giorno. Di regola i piovaschi sono nel primo pomeriggio e di notte e in generale abbiamo avuto bel tempo.

Luci ed ombre

L’alba è radiosa. Innanzitutto perché non è l’alba, nemmeno le 6:30am, non c’è il grido di “all’ataque!”, ma alle 7:30 Juan si intrufola nella nostra camera e con un sorrisone ci bacia e ci abbraccia tutt’e due. Tendiamo l’orecchio per sentire se sta piovendo… niente. Colazione all together, che non è da poco. Bisticci minori mentre i bimbi fanno il bagno insieme. Probabilmente non è una buona mossa, anche se loro si divertono finisce che si distraggono e si “fastidiano” a vicenda, il bagno dura un’eternità e il povero genitore che dirige si trova più spesso a impartire ordini e separare i litiganti che a una placida sorveglianza.
Questa mattina abbiamo chiamato la referente dell’ente per sentire se c’era qualche novità circa il progresso delle nostre pratiche. Purtroppo non sapeva nulla anche se ormai è una settimana che la richiesta è stata accettata. Abbiamo anche scoperto (con un po’ di scoramento) che dopo la sentenza dovremo comunque aspettare i nuovi certificati di nascita che verranno ri-emessi dal comune dove sono nati (che non è Medellin), prima di partire per Bogotà. Il che significa che è abbastanza probabile che anche settimana prossima saremo qui.
Verso tarda mattinata usciamo per … il centro commerciale (diamogli un nome, visto che non è un’esperienza passeggera: Premium Plaza). L’idea è quella di comprare dei costumi da bagno per Occhio-di-Lince e Alzata-con-Pugno in modo che prima o poi si possa andare in piscina. Lungo la strada Juan si inventa di giocare a calcio prima con un frutto e poi, quando finisce in un giardino privato, con un sasso. E noi a sentirci “genitori di strada” mentre giochiamo a calcio con loro.
Va tutto bene, anche al centro riusciamo abbastanza a controllare l’ansia da acquisto girando per ben tre negozi prima di trovare qualcosa. La sfortuna vuole che il costume c’è solo per Mariana e non per Juan. Muso lungo e piva scattano per il povero Occhio-di-Lince. Però la cosa si ferma lì e con un po’ di coccole, un po’ di rassicurazioni, un po’ di tanta attenzione, la piva passa davanti ad uno spiedino di pollo con patatine fritte.
La seconda esperienza nei negozi di abbigliamento è andata un po’ meglio. Sono sempre spaesati: Mariana che esce dal negozio anziché entrare nel camerino per provarsi il costume; Juan che non spiccica una parola… anche se loro affermano di essere già stati a comprarsi vestiti, noi abbiamo qualche dubbio.
E’ vero che ormai il Premium Plaza è una sorta di seconda casa. Una casa un po’ speciale dove entriamo trascinando un figlio e usciamo di corsa con in braccio l’altro urlante e scalciante (per fortuna non sempre). Però ormai sono tre settimane che a giorni alterni andiamo lì. Eppure ancora non siamo riusciti a visitarlo tutto. Così, dopo pranzo, raccogliamo l’invito di Juan di salire una scala e ci troviamo in una sezione dove non eravamo mai stati. C’è una palestra e un’area giochi!
Sbirciando l’immensa sala giochi, la prima domanda che ci sorge spontanea è: “ma chi ce lo fa fare di andare al Parque Norte? Qui c’è tutto!”. E, in effetti, c’è parecchia roba: videogiochi, il trenino, la nave pirata, gli autoscontri… Nostro figlio è come impazzito, salta a destra e a manca ripetendo ossessivamente: “quiero este!” (voglio questo).
Decidiamo che si può passare un po’ di tempo qui e compriamo la tessera, dicendo che avremmo fatto un gioco per uno.
Mariana inizia con una jeep che va avanti e indietro (stando ben ferma), mentre Juan si lascia gabbolare da uno di quegli aggeggi che con un gancio meccanico pescano in una vasca piena di peluche senza naturalmente riuscire a prendere nulla. Il gioco termina in 10 secondi circa.
Insoddisfatto si butta su un calcetto-hockey dove i due giocatori si devono fronteggiare tirandosi un dischetto che viaggia su una superficie priva di attrito. Peccato che lui si stanca dopo 30 secondi. Così continuiamo a giocare io e Alessandra, cercando di ignorare i vari “mamà, mire!” (mamma guarda!) e “papà, quiero este”. A fatica terminiamo il gioco e i bimbi entrano insieme sul trenino e dopo in una specie di palestra con scivoli, scale, pallestra, trampolino. Mariana esce prima dello scadere del tempo per andare in bagno. Inizia ad essere pomeriggio avanzato e così cerchiamo di comunicare ai nostri figli che faranno l’ultimo gioco e poi torneremo a casa. Purtroppo la comunicazione è oltremodo difficoltosa: devo placcare Juan per impedirgli di andare via mentre parlo e Ale non riesce nemmeno a iniziare a parlare a Mariana perché quando cerca di prenderla in braccio lei inizia la crisi con pianto, sputi e graffi e le tocca portarla fuori.
Juan decide per un videogioco con la moto e Mariana rientra nella palestra.
Purtroppo il concetto di “ultimo” è relativo, così, mentre aspettiamo che Mariana esca dalla palestra Juan continua a ripetermi “quiero otro” (voglio un altro), dopo un po’ mi stufo di questa solfa e inizio a contro-tormentarlo con “ti-ricordi-cosa-ti-avevo-detto-?” Lui un po’ sorride, un po’ cerca di tapparmi la bocca, poi visto che non smetto (sostanzialmente perché non smette lui) si immusonisce.
Finalmente Mariana esce dalla palestra e impiega un tempo infinito per mettersi le scarpe. Visto che comunque prima o poi doccia, cena e allettamento sono da fare (e che prima o poi il Sole si spegnerà) decidiamo di forzare la cosa.
Parte un’altra crisi, anche se ormai abbiamo il fondato sospetto che si tratti di capricci veri e propri, violentissimi perché le nostre braccia (soprattutto quelle di Ale) portano i segni dei graffi, ma comunque di capricci. Non si spiegherebbe altrimenti come mai a un certo punto esclama “voglio il gelato” e la rapidità con cui passano.
Mentre lei fa questa scena, le guardie ci osservano e si avvicinano… sentiamo il fiato del Telefono Azzurro sul collo, ma anche questa volta ci va bene.
Alzata-con-Pugno si calma e riusciamo anche a fare la spesa.
La sera le cose rientrano un po’. Cena parzialmente a parte: Juan si rifiuta di mangiare pollo e patate, mentre Mariana inizia, mette un sacco di sale e poi pianta lì.
Questa sera attuiamo anche il programma che avevamo pensato: tv accesa fino alle 20:30, poi pigiama-denti-pipì e poi si fa più o meno quello che si vuole, possibilmente insieme e alle 21:00 a nanna con un racconto.
Il programma funziona bastantemente: a parte Juan che vuole che gli leggiamo il secondo racconto e, al nostro rifiuto, inizia i capricci. Lasciamo la camera per non vedere scene pietose.
Una bella giornata, ma anche una “giornatina”. Da una parte i nostri figli sembrano più sereni, la mattinata è stata praticamente idilliaca. Dall’altra l’uscita dalla sala giochi, per quanto molto più limitata nel tempo, incide sulla mia oggettività.
Il dialogo con Ale, praticamente continuo, è preziosissimo, sia per rimettere in prospettiva gli eventi, sia per dare delle interpretazioni a quello che succede (a volte lei è … molto “educatrice”, per fortuna), sia per rincuorarci e farci coraggio.
Per oggi niente foto.

3 settimane!

Non si direbbe, ma anche si direbbe che sono ormai tre le settimane di Colombia. Diciamo che adesso il tempo passa con più regolarità, anche per il fatto che in alcuni aspetti della nostra vita è entrata un po’ di routine, non nel senso di che-barba-che-noia-che-barba, ma nel senso “ahhh, questo so come farlo”. Bisogna anche dire che di Medellin non abbiamo visto un granchè, anzi abbiamo visto proprio pochino. Il fatto è che vediamo ancora come molto rischioso tentare una gita fuori porta o qualcosa di “turistico”. Basta un minimo di esperienza nuova, anche se per noi è scontata, che mette in ansia i bambini e l’ansia porta al disorientamento, il disorientamento all’insofferenza, l’insofferenza alle crisi e le crisi al Lato Oscuro della Forza. Quindi è Male.
Siamo ancora in attesa di segnalazioni da parte del tribunale e speriamo di poter andare presto a Bogotà. Certo sono nuovi cambiamenti e nuove fatiche, ma almeno ci avviciniamo un po’ di più a casa e magari ci sono un po’ più di opportunità per i bambini.
Oggi siamo andati ancora (è la quarta volta) al Parque Norte. E anche oggi la giornata è andata bene. Tutt’e due i pargoli si alzano di buon umore, per pochissimo non siamo riusciti a fare la colazione tutti e quattro insieme, ma la cosa si risolve rapidamente. Giochiamo ancora tutti insieme a prenderci, a farci il solletico, e ci prepariamo (ci siamo dimenticati di scrivere che ieri Juan, una volta tornati a casa, si è pulito accuratamente le sue scarpe nuove). E in taxi ci facciamo portare al Parque Norte. La giornata è splendida, un sole vivace risplende sulle nostre epidermidi.
Le giostre, il pranzo, ancora giostre. Verso le 14:30 il cielo si annuvola, si sentono i primi tuoni proprio sopra di noi e si aprono le cataratte del cielo. Piove come se dovesse risolvere il problema della desertificazione in mezz’oretta.
Ci rifugiamo in un chiosco con una cinquantina di persone che hanno avuto la stessa idea. Mentre siamo lì, tentando di riscaldarci pensando al sole della mattinata, Juan… avevamo già scritto che Juan è attentissimo a quello che succede intorno? Che controlla ogni cosa? Che l’abbiamo soprannominato “Occhio di Lince”?… be’ Juan esclama: “un’IGUANA!” e indica nel cespuglio davanti al chiosco, verso un rettile che sarà stato lungo anche più di un metro.
Intoniamo subito la canzoncina “La Iguana e il Perezoso” che dice più o meno che c’era una volta un’iguana che beveva caffè alla ora del te. E l’iguana ci degna di una passerella lemme lemme. Non così lemme da riuscire a recuperare la macchina fotografica sepolta nello zaino. Pazienza.
A proposito di soprannomi: oggi abbiamo deciso che per Mariana il soprannome che più si adatta è Alzata-con-pugno.
Sulla strada del ritorno incontriamo una comparsa vestita da mascotte del parco: una ragazzina con i capelli viola vestita di verde. Mariana è subito rapita da questa apparizione e chiediamo di fare una foto insieme. Rimane talmente colpita che ci ha ripetuto per tutta la sera, cosa è successo, cosa ha fatto lei e cosa ha fatto la mascotte.
Cena trionfale: i genitori si scofanano un piatto di spaghetti con sugo al tonno e pomodoro (le olive non ce le hanno fatte mettere perchè non piacevano loro) e gli avanzi della verdura di ieri, mentre Occhio di Lince e Alzata con Pugno si mangiano due wurstel a testa. Juan ha l’idea di portare la radio in soggiorno cosicché ceniamo con la musica in allegria (ri-aggiungendo le olive visto che la pasta non la volevano più).
Anche il dopocena è particolarmente allegro: loro giocano saltando sul divano (meglio che si sfoghino qui visto che a casa nostra sarà off-limits) e saltandosi addosso, qualche caragnatina più che altro ben recitata, ma si sono divertiti. La musica viene mantenuta anche durante Lazy Town e alla fine vince sulla TV che viene spenta per ballare tutti insieme sulle note di qualche hit locale. La passione cala un po’ quando viene sintonizzata radio Maria di Medellin (e guai a girare).
Purtroppo il momento di andare a dormire è sempre critico per Juan. Ci stiamo lavorando e c’è qualche progresso, ma c’è ancora spazio di miglioramento.
Oggi Juan è stato particolarmente sereno, oggi è probabilmente il giorno in cui più spesso ha cercato Ale (anche per vedere insieme i Power Rangers!) e sul taxi ci ha sorpreso. Solitamente sta dalla parte opposta della vettura, spalmato contro la portiera del lato opposto a quello dove siede Ale. Oggi non solo ha accettato le coccole per tutto il percorso, ma dopo un po’ ha chiesto di cambiare lato venendo trovandosi nel poco spazio tra Ale e la portiera. Ha anche azzardato a sedersi sulle sue gambe rialzandosi subito esclamando “Era un chiste!” (sarebbe a dire uno scherzo).
Merita forse un po’ di spiegazione il perchè queste cose che possono sembrare così normali, siano per noi fonte di sorpresa e gioia. Fin da subito Juan si è tenuto lontano da Ale, sembrava spaventato. Questo è un modo indiretto di raccontarci la sua storia, una storia dove un bimbo ha paura di sua madre, un terrore vero e proprio, una sfiducia profonda. Non sappiamo i dettagli, ma li possiamo facilmente immaginare. La donna che avrebbe dovuto prendersi cura di lui, accudirlo e proteggerlo, l’adulto più importante per la sua vita di bambino è stata la persona che gli ha dato la fregatura più grossa.
Ale adesso è in quel ruolo di mamma per lui. E Juan conosce solo un modo di essere mamma, perchè questa nuova mamma dovrebbe essere diversa? Dovrebbe fare le cose diversamente?
E’ questo il senso del suo tenersi lontano, sottrarsi alle coccole, nascondersi stizzito sotto le lenzuola quando Ale va a dargli il bacio del buon giorno, non rispondere alle sue domande.
Ma, d’altro canto, Juan ci racconta di avere un bisogno fortissimo della mamma: lei è sempre presente in tutto. E’ un personaggio dei Power Rangers (il giallo in alcune serie, l’azzurro in altre), c’è nei progetti, nei disegni. Il disegno del cuoricino per la mamma con dentro scritto “te amo” ci ha fatto sciogliere l’altro ieri.
Non volendo incidere sulle riserve di Kleenex dei nostri lettori cambiamo argomento.
Come parliamo? Avevo già scritto che la lingua in effetti è un problema. Grazie al corso di spagnolo riusciamo a spiccicare qualche parola nell’idioma locale. Il risultato è un miscuglio di italiano e spagnolo che sta provocando rumori sospetti dalle tombe di Cervantes e Dante.
Ad esempio: “Metti il piatto sulla mesa”, “Cosa quieri mangiare?”. Dal canto loro i bambini hanno iniziato a mettere parole sospette nel loro vocabolario. Mariana dice: “cià” (nel senso di “cià, su, dai”). Juan oggi ha detto “me esta fastidiando”.
Se i nonni sentono fischi nelle orecchie, si tranquillizzino, non è l’apparecchio acustico difettoso (hihi), è che uno dei giochi più gettonati è quello di far finta di chiamarli al telefono (noi siamo quelli che ripetiamo di non toccare i tasti).

Ecco la vista che si gode dal nostro balcone al 10° piano.
Parque Norte, quasi meglio della televisione! (sia per i bimbi che per i genitori che si riposano guardandoli ingabbiati in qualche giostra).
CI-BO!!! Dopo essersi sbafata il pranzo di mammà completa con uno spiedino di pollo e patatine! Come si usa dire… che il Signore le conservi la vista!
Questa foto l’ha voluta fare Juan con l’autoscatto. Assicuriamo che la corda che si vede sullo sfondo serve per le tende e non la usiamo per legare i bambini.