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Crisi al centro commerciale: fatto.

Questa è da manuale, si sa, prima o poi succede. Sarà che siamo in un posto dove non ci conosce nessuno, ma non ci siamo sentiti particolarmente imbarazzati a caricare di peso la piccola Mariana scalciante e urlante (e semibiotta) per portarla verso casa. Il risultato di questa operazione, verso metà strada è stato un morso micidiale sul mio bicipite. Probabilmente la maglietta mi ha salvato dalla lacerazione dei tessuti, non so di preciso come lo si può definire tecnicamente, ma ho un gibollo viola con dentro macchie rosse contornate da una coroncina di impronte di dentini (non faccio la foto per non urtare la sensibilità, ma Dario Argento mi ha chiesto se posso prestare il braccio per un film). A parte il ritorno (e l’andata) al centro commerciale la giornata non è andata male. Al supermercato si è rivelata vincente la strategia di caricarli dentro la macchinina del carrello (rigorosamente ognuno la sua). In questo modo non solo non correvano in giro ovunque cercando di farci comprare l’inverosimile, ma pure non riuscivano a vedere tanto in alto, sugli scaffali, le cose più appetitose.
Inoltre con scarti improvvisi e occhiate significative, Ale, che guidava il gruppo, ha evitato la corsia delle patatine e dei dolci… diabolici, eh?
L’andata invece è stata colorata dal trascinamento di un mugugnante Juan per tutto il percorso perché voleva essere preso in braccio e io non me la sentivo di portarmelo dall’inizio alla fine.
Uno dei meccanismi che abbiamo ormai capito è che quando Mariana ha una crisi, Juan si spaventa. Per questo motivo, al ritorno, dopo le scenate della sorella, è diventato mite mite e chiedeva permesso per fare qualsiasi cosa (addirittura ci rispondeva con “si, señor”, “si señora”).
Sfogato lo sfogo, passiamo alle cose belle: questa mattina sia Juan che Mariana hanno voluto asciugare i capelli ad Ale con il phon (la piega non è venuta male… hanno un futuro i ragazzi :-)). Un’altra cosa che ci colpisce è la generosità (nei momenti di luna buona), soprattutto Mariana principalmente nei confronti del fratello, ma anche con noi. Ad esempio ci fa sempre assaggiare quello che mangia (ormai non siamo più schizzinosi… la fame fa miracoli).
Le domande del giorno: Ale – “Max, oggi quando eravamo fuori avevi caldo con la maglietta?”, Max “Intendi quando trascinavo Juan all’andata o quando portavo Mariana in braccio al ritorno?”.
La battuta del giorno: “Quindi Mariana è stata battezzata?”, “Si, ma l’acqua santa doveva essere scaduta”.
Monica “profesora” di spagnolo, se ci stai leggendo: “Pecueca” (cioè la puzza dei piedi) ha avuto un successo clamoroso. Mariana almeno un paio di volte al giorno va in giro con la sua scarpina, con tanto di nuvoletta gialla, a far annusare, felice, a tutti urlando “Pecueca, pecueca!”. Poi si scatena il tormentone e tutti annusano, storcono il naso e urlano “Pecueca!”
Questa sera è andata meglio anche a tavola, cioè rispetto alle ultime tre sere dove eravamo praticamente solo io e Alessandra, con qualche comparsa di Mariana.
Le regole che abbiamo iniziato a sostenere sono abbastanza di base: si mangia solo durante i pasti e le merende; si finiscono merendine e succhi già aperti; cena, pranzo e colazione si fanno a tavola; si raccolgono le cose che si fanno cadere; carte e cartacce si buttano nella spazzatura; si usa il fazzoletto per pulirsi il naso.
Per ogni nostro “no” c’è una crisi (che può durare anche un’ora e passa). In genere una volta che la crisi è passata il “no” viene accettato (anche se magari bisogna rammentarlo un po’ di volte). E’ per questo che a volte, prima di intervenire, quando siamo sfiniti, io e Ale ci guardiamo negli occhi e decidiamo che, per questa volta, facciamo finta di niente.
In generale i nostri figli non accettano qualsiasi cosa che non sia perfettamente in accordo con le loro aspettative. Sia anche semplicemente un’attesa più lunga di qualche secondo, o voler fare da soli una cosa che non sono in grado di fare.
Siamo sempre più convinti che la lingua è molto importante. Ieri la psicologa diceva che, soprattutto per Mariana, il non essere capita, può accentuare il suo senso di frustrazione visto che è una bambina che parla tantissimo e ci racconta molte cose. Il limite della lingua c’è anche nel porre le regole, soprattutto per motivarle, o, a volte, l’incomprensione può scatenare crisi dalla furia omicida (come quella di oggi del supermercato).
Ed ora le foto!

Ecco come calmare i nervi: una tinozza di fragole e un bel castello di carte.
La Sirenetta. Per fortuna non è più un problema farle il bagno, anzi, lo chiede lei.
le donne al parquesito.
E all’incontro l’equipe ci aveva detto che Mariana aveva paura del phon!
Ecco l’autore di alcuni interessanti testi (tipo: asaaaaaaaaawjjuuuuuu9).
Ecco i fiori che Juan ha regalato a mamà Ale.
più in alto di così, al parquesito, non si può.
Questo personaggio della serie Lazy Town assomiglia a nonno Nando per Juan (giuro io non ho influenzato).
questa invece a nonna Carla.

Lo Spicologo dice che

(che poi è una donna)… dice che tutto è ok, ma non saltiamo alle risposte. Questa mattina l’appuntamento era alle 11:00 e fortunatamente siamo riusciti a non subire nessuna crisi, giusto qualche mugugnetto e impuntamenti minori risolti con la contrattazione delle patatine (si potrebbe anche dire “ricatto”, ma “contrattazione” è più politically correct).
Il Taxi arriva leggermente in ritardo facendoci temere di non arrivare in tempo all’ICBF. Ci accoglie l’interprete messa a disposizione dell’ente, un’italiana di Bolzano (madrelingua tedesca quindi) che ha sposato un colombiano e vive qui da 29 anni, tra l’altro anche lei madre adottiva. Una persona molto sensibile e disponibile.
A prima vista ha commentato “be’ vi vedo tranquilli… una coppia di Milano che è stata qui qualche mese fa, anche loro con due bambini, era molto più agitata”. Comunque Juan e Mariana vengono chiamati in un’altra saletta e noi entriamo in un ufficio con l’interprete, la psicologa colombiana e l’assistente sociale.
Ci fanno raccontare tutto (con l’interprete che ogni tanto parlava a noi in spagnolo e alle operatrici in italiano), loro annuiscono e prendono appunti. Ci chiedono anche dei nostri vissuti, di come ci siamo sentiti nei vari momenti di questa ancora breve ma _molto_ intensa avventura.
Alla fine ci hanno rassicurato molto sia gli operatori che l’interprete che ogni tanto aggiungeva il proprio contributo e commenti tipo “mi fate molta tenerezza”. È giusto che le cose vadano così e, anzi c’è stata una buona e rapida evoluzione. Certi rifiuti categorici di Mariana sono da interpretare come la risposta al nuovo ambiente quando, data l’età, non ci sono ancora gli strumenti mentali. Ci dicono che finora abbiamo fatto bene, di continuare così e che è importante mettere regole fisse sulle cose a cui diamo più valore ed essere elastici sul resto.
Alla fine ci hanno chiesto, nello stile “un’offerta che non si può rifiutare”, se volevamo posticipare la verifica dell’integrazione a mercoledì. Si poteva rispondere “no”??
In effetti ci hanno detto tante cose tranquillizzanti e tante cose utili, resta ancora qualche dubbio su come affrontare le crisi isteriche, anche se, come aggiungeva giustamente l’interprete, siamo noi ad essere presenti e quindi a poter capire come è meglio intervenire.
Usciti dall’ICBF ci siamo fatti portare dal fido Raul (il tassista di fiducia) in un locale tipico per mangiare qualcosa. I bambini non hanno molta voglia di rivelare i propri gusti, così scegliamo noi per loro, uguale, così non possono avere nulla da ridire. Anche il succo di frutta che inizialmente non vogliono, glielo facciamo ordinare (e alla fine se lo bevono con mucho gusto).
Ale prende una Bandeja Sencilla e io una Bandeja Paisa. Si tratta di due vassoi (“bandeja” significa infatti “vassoio”) pieni di … tutto. Carne trita, fagioli, uovo in camicia, salsiccia di due tipi, lardo, platano (che è una specie di banana), una specie di mango, un’insalatina, riso, un’arepa (una specie di frittella di farina di mais), nel mio c’era anche una bistecchina, giusto se dovesse rimanere ancora un po’ di spazio.
Impossibile finirli, ce l’impacchettano e li portiamo via.
Pomeriggio a casa con tre crisi di Juan sempre per delle stupidate. La prima piuttosto acuta con calci e pugni al sottoscritto, probabilmente per la gelosia nei confronti della sorella. La terza invece piuttosto fake, dopo qualche minuto di spinte e annaspi per riattaccare il cavo della televisione (che visto i precedenti era off-limits per questa sera), con espressione truce e mugugni strappalacrime, si mette a ridere e a giocare con altro…
Istantanee commoventi del giorno: Mariana a cena che dà da mangiare ad Alessandra (che visti gli spettacoli di prima non è che avesse tutto questo appetito). Sempre Mariana che porta prima una forchettata di pollo a Juan in camera sua in piena crisi di pianto e poi le patatine.
A differenza delle altre sere Juan ha mangiato qualcosa, anche se dall’esterno si potrebbe dire che, da oggi, abbia iniziato una dieta vegetariana molto selettiva: solo patatine fritte.
(oggi niente foto perchè non ho la forza fisica di metterle).

2 piccoli adorabili … selvaggi

Sette. Oggi siamo arrivati a sette, sette crisi isteriche. Ieri sono state un po’ di meno, però scattano per piccole cose. Nei primi giorni siamo stati molto permissivi come regole, veramente il minimo sindacale. Quindi le crisi scoppiano per le cose più stupide: la richiesta di usare il fazzoletto per pulirsi il naso anziché il dito, Ale che si toglie la maglietta per poter fare il bagno a Mariana (per evitare di bagnarla), la richiesta di non aprire le cose con i denti…Inizialmente lasciavamo che la crisi si sfogasse cercando di contenere giusto i danni a oggetti e persone, però così non se ne veniva a capo. Anche perché in due anni di corsi, incontri, convegni e conferenze nessuno mai ci ha spiegato qual è il migliore comportamento da tenere in caso di crisi isterica.
Anzi forse nella preparazione certe descrizioni dovrebbero essere più incisive: se volete adottare preparatevi a vedere massacrato il regalo che avete scelto con tanta cura per l’incontro, preparatevi a combattere per una maglietta, preparatevi a ricevere parolacce da un frugoletto di 3 anni e mezzo (per fortuna in spagnolo), ad essere presi a sputi, pugni, morsi e unghiate, a essere ignorati o schivati, mentre il vostro coniuge è ricoperto d’attenzioni…
Comunque da questa sera (oltre ad avere richiesto un confronto con uno psicologo per qualche consiglio), la referente dell’ente ci ha consigliato di essere più rigidi sia in termini di regole di convivenza, sia nel limitare lo sfogo e, nel momento della crisi, di ignorarli completamente, per quanto sia difficile.
Sì è un po’ uno sfogo, ma penso che dopo 7 crisi isteriche, oggi, possiamo concedercelo.
Pensiero di ieri: non c’è niente di più brutto del rubare il sorriso a un bambino, non c’è niente di più bello di un bambino che sorride.
Ieri siamo andati al Parque Norte che è una specie di parco dei divertimenti, tipo Gardaland tanto per intenderci, ma molto meno affollato (ma mooolto). I bambini sono saliti su parecchie giostre anche se alcune erano in manutenzione (naturalmente le più ambite). C’era anche un aereo passeggeri vero con schermi ai finestrini e sedili mobili così i bambini hanno provato l’emozione di salire su un vero aereo, come quello, tanto agognato, che li porterà in Italia.
In questi giorni il tempo è sempre stato ragionevolmente bello, solo con qualche temporale serale, quindi ieri ha pensato bene di aprire le cataratte del cielo verso le 12:00. Uno di quei bei acquazzoni tropicali (d’altra parte siamo proprio qui). Visto che non accennava a diminuire abbiamo chiamato il taxi e, come da copione, probabilmente si tratta di necessità storica, al suo arrivo la pioggia ha smesso.
Oggi invece è stato già un miracolo andare a fare la spesa al supermercato qui vicino.
I colombiani (almeno quelli con cui abbiamo avuto a che fare finora) sono gente amabile: pacata, paziente, che parla con tono sommesso e radiosa.
Abbiamo avuto qualche problemi anche con i telefoni cellulari e così ieri senza avviso è arrivata, verso le 9:00 la signora delle pulizie. Considerato il regolamento da minimo sindacale la casa era un disastro…. avremmo voluto sprofondare. Lei si è messa di buona lena, con in sottofondo il CD di “Mission Impossible” e ci ha restituito una casa pulita e ordinata a puntino.
Fare i genitori è anche questione di strategie creative… ad esempio se vostra figlia vuole fare il bagno, ma la vasca che avete a disposizione è sprovvista di tappo, che si fa? Noi abbiamo preso il coperchio di un tupper che c’era in cucina… chissà cosa avrà pensato la signora delle pulizie di cui sopra, trovandosi di fronte al coperchio in bagno.
Comunque grazie a tutti quelli che ci hanno lasciato un commento in questi giorni, quelli che ci hanno scritto email e quelli che comunque ci hanno pensato. Sentire un coinvolgimento così caloroso ci dà tanta forza.

Survivors

Sospiro di sollievo per tutti quelli che stanno seguendo la nostra storia e sempre più ansiosi non vedono nostre nuove e anche per noi.Abbiamo risolto il problema tecnico dell’adattatore del computer (brutalmente tagliando il filo di alimentazione e mettendoci una spina locale – alla faccia delle normative di sicurezza) ed è anche il primo giorno che non crolliamo esausti sul letto.

Ale:
Da dove iniziare a raccontare? Sono solo trascorsi 5 giorni dall’incontro con i nostri figli, ma ci sono così tante cose da raccontare che non saprei proprio da dove incominciare: momenti di fatica, di senso di impotenza e di inadeguatezza, la loro rabbia che esplode in ciascuno in modo diverso, i pianti, la continua richiesta di attenzione, i numerosi “no” alle nostre minime richieste, ma ci sono anche le coccole, i baci, gli abbracci, le continue richieste di essere presi in braccio; c’è la loro sete di essere amati e voluti; i giochi insieme e le risate; il sentirsi chiamati mille volte al giorno “papà!” e “mamà” e noi, ad ogni suono di queste due meravigliose parole ora con entusiamo, ora armati di santa pazienza, rispondiamo con tutta la dolcezza “arrivo!”, “dimmi!”.
Li guardo e non posso fare a meno di sentire e pensare alla loro sofferenza e alla loro paura di essere ancora traditi, ma dentro hanno una forza incredibile di riprovare. Per adesso la giornata inizia alle 6 della mattina, vengono nel nostro lettone oppure noi andiamo da loro. Juan fa la doccia senza problemi, con Mariana invece bisogna aspettare il momento giusto per fare con lei qualsiasi cosa, soprattutto per lavarla, vestirla, pettinarla.
Per il resto della giornata, tutto il tempo e le nostre energie sono per loro. Questa è la prima sera che, dopo averli messi a nanna, abbiamo ancora un po’ di forza per restare alzati e poter continuare a scrivere la nostra avventura.

Max:
(scritto la sera dell’incontro sul palmare) Oggi é veramente una giornata difficile da raccontare. Lasciamo pure perdere la sveglia prima dell’alba, la corsa nella notte a bordo di uno sgangherato taxino con la spia del motore accesa fissa e le valige in braccio. Passiamo anche sopra a qualche montagna con l’aereo e atterriamo a Medellin. Raul, l’autista scelto da Pilar ci porta prima in tribunale a depositare qualcosa (un giorno forse riusciremo a comprendere appieno tutti i passaggi burocratici), poi mancano ancora dieci minuti e andiamo a fare la spesa. Seguendo il passo risoluto di Pilar riempiamo il carrello di un sacco di pasticci. E poi non c’é scampo: arriva l’ora X. Si entra in un edificio che potrebbe essere anche una scuola. Ci ricevono l’assistente sociale, la “defensora” de famiglia che si é occupata del caso e una persona dell’ufficio. Ci chiedono se abbiamo altre domande rispetto a quello che sappiamo e a un certo punto spunta, dal vetro una faccina caffè, seria seria, ma curiosa! É lui: nostro figlio che non ce l’ha fatta a resistere all’impazienza!
Chiudiamo piuttosto sbrigativamente il resto della procedura e ci apprestiamo a fare conoscenza… bisogna sempre cercare di ricordarsi di respirare. Ma non ne abbiamo il tempo: due ciuffoli caffé arrivano a mo’ di turbini con due disegni… e ci parlano, noi capiamo poco-niente e li abbracciamo. I regali si scartano, si inizia a giocare. Non esiste nulla all’infuori di noi 4 e dei giocattoli che abbiamo portato. A un certo punto Juan mi chiama papá-ah (con accento bergamasco si potrebbe dire). E da quel momento é un’esplosione di mamá-ah e papá-ah.
Salutiamo il personale dell’ICBF con l’intesa che ci vediamo tra 10 giorni e scendiamo nel parcheggio saltellando a piedi uniti le 4 rampe di scale e facendo “boing boing” con la voce.

Altre note
Medellin, o meglio la zona in cui viviamo, non si puó dire certo pedestrian-friendly. Il centro commerciale dista un 20 minuti ad andare di cui 13 in attesa ai semafori. Il centro commerciale é molto grande e contiene un Carrefour. I primi due giorni non riusciamo a prendere bene le misure: troppo grande, troppo dispersivo, troppe energie convogliate a controllare i figli (che non dovrebbero, nel possibile, farsi troppo male, anche perchè abbiamo un incontro di verifica lunedì prossimo).

Note sui regali: la macchinina radiocomandata è stato un successo, undici punti su 10. Juan non la molla un attimo e ci dorme letteralmente insieme. La bambola di Mariana non ha avuto un successo immediato, ha iniziato a guardarla dopo il 3° giorno e anche lei adesso la porta al parco e a letto. Le bolle di sapone 8 su 10, dopo i primi giorni hanno iniziato a guardarle un po’ meno (anche perchè il contenuto ormai è finito). I palloncini ottimo: non vogliono che li leghiamo perchè si divertono a gonfiarli e sgonfiarli lanciandoli o facendogli fare i suoni. Ieri mattina abbiamo inventato la guerra dei palloncini: due squadre si affrontano di soppiatto percorrendo il corridoio e lanciando i palloncini a sorpresa contro gli avversari… non vince nessuno, ma ci si diverte un sacco.

Guardano un sacco gli album che abbiamo inviato a febbraio, li conoscono a memoria, ogni figura, ogni scritta. Juan ha chiesto perchè sull’album non ci sono le foto dei cugini e degli zii… ehm, noi abbiamo obbedito agli ordini 🙂

Tutt’e due ci chiedono dell’aereo, e appena ne passa uno sopra le nostre teste è un evento che coinvolge tutta la famiglia. Juan in particolare non vede l’ora di andare in Italia.

La lingua… è un problema, ma non un problema. Cioè non ci sono problemi per farsi capire e per capire sulle cose pratiche. Il problema è che loro ci parlano un sacco, per quel poco che capiamo, ci raccontano le loro storie, ed è un peccato non sapere abbastanza spagnolo per raccogliere e conservare queste perle. Per fortuna, la mamma-affidataria (che loro chiamano zia) ha consegnato all’ICBF due quaderni-diario (che ora abbiamo noi) di quest’anno vissuto con lei. Loro ci insegnano qualche parola, l’accento sembra bergamasco, e noi abbiamo iniziato a parlare un misto di italiano, spagnolo, dialetto con qualche interiezione in inglese … con accento bergamasco, aiuto! Quando torneremo ci faremo capire a gesti.

Il cibo è un po’ un problema: manca il tempo per fare tutto e quindi anche per preparare un pranzetto degno di questo nome (loro chiamano in continuazione anche quando siamo in bagno). L’altro problema è quello di cucinare le specialità locali che noi non conosciamo e, dalle loro reazioni, si direbbe che si vede.

L’esperienza al supermercato, la prima volta, è stata un delirio: loro che urlano “Yo quiero este!!” e prendono i pacchetti mettendoli nel carrello, noi che non capiamo il contenuto misterioso di queste confezioni o, se lo capiamo, vorremmo tanto non prenderli. Cerchiamo di arginare cedendo alle richieste più ragionevoli e facendo muro su quelle che proprio non ci stanno.
Certo che la prima volta che tuo figlio ti chiede “yo quiero este” (letteralmente dovrebbe essere una via di mezzo tra “voglio questo” e “mi piacerebbe molto questo”) e tu dici di no, ti senti proprio una carogna.

Grazie a tutti per i vostri messaggi, sono bellissimi, li leggiamo tutti, volentieri, ci commuovono e ci danno forza!

Bogotà

Eccoci finalmente a Bogotà! Per Medellin si parte domani… alle 6:00 … dall’aeroporto, alle 4:15 dall’albergo. A noi il jet lag ci fa un baffo! Viaggio tutto bene. Ecco gli appunti di oggi

5/6/2008 5:55 am – aeroporto di Malpensa, Terminal 1
I mesi sono diventati settimane, le settimane giorni, i giorni ore e alla fine secondi. E alla fine l’ora zero é arrivata anche per noi.
E sempre un po’ piú vicino, sempre un po’ prima stiamo per arrivare. In una versione nostra e personale che é una via di mezzo tra l’arrivano i nostri e l’armata Brancaleone.

Sdrammatizzazione: Ale parla con le foto di Juan e Mariana (tipo “eh, anche tu quante ne combinerai…”). Max dopo essere andato due volte ai servizi: “non sono agitato, peró speriamo che all’ICBF ci sia il bagno”.

Decollo, questa volta é proprio la partenza, ci solleviamo dal suolo padano e salutiamo l’Italia che rivedremo tra un po’. Intanto immaginiamo come saranno i voli con Juan e Mariana: come dovremo disporci, come saranno sgranati i loro occhi di fronte a tante novitá, magari impauriti e … staranno proprio seduti e tranquilli? Ci sembra cosí improbabile.

10:09 sull’aereo per Bogotá, ancora saldamente appoggiato al suolo di Parigi.
Il passaggio a Parigi é stato giusto una pellicola spinta in “avanti-veloce” a parte un po’ di coda per i controlli di sicurezza, apena arrivati al gate inizia l’imbarco via autobus.

9:59 ora di Bogotá. Da qualche parte a 10668m sull’oceano atlantico. Per un attimo, concentrandosi, cercando di chiudere varie porte mentali si potrebbe pensare che questo sia un viaggio di turismo: solito volo intercontinentale su distese sconfinate d’acqua, pasto scadente servito in troppo poco spazio, semioscuritá, pisolini alternati a momenti di veglia… Non dissimile dal volo dell’anno scorso verso gli Stati Uniti.
Eppure questa falsa sicurezza non dura piú di qualche istante, niente riesce a fermare la luce dell’Incontro di domani. Niente riesce a frenare l’immaginazione di noi con loro nei prossimi giorni in quella terra straniera dove tra un po’ atterreremo.
E ogni volta che le figure si fanno piú vivide e vere c’é quella tensione che parte dalla nuca ed elettricamente si irradia giú nelle braccia fino ai pollici e nello stomaco contraendolo.

Intanto é certo: abbiamo dimenticato il temperamatite… poteva andare peggio.

All’arrivo ci siamo accorti che in una valigia uno shampo ha perso buona parte del suo contenuto… malgrado l’impacchettamento strategico. Così anzichè riposarci aspettando l’ora di cena, ci siamo messi a lavare inzuppatissimi vestiti e ad asciugarli col phon…

Note di servizio: ho visto che ci sono un paio di problemini con i commenti – le vocali accentate e gli orari… prima o poi sistemerò O:-)

-1: valige chiuse

Cosa si fa a -1? Il confine diventa confuso: contiamo le ore alla partenza? All’arrivo? All’incontro? Intanto le valige si sono chiuse l’altro ieri con un *click* deciso e incontrovertibile, da qui indietro non si torna.Stiamo passando la penultima giornata da “sposini” tra pulizie domestiche in grande stile (così se vengono i ladri trovano tutto in ordine e ci ringraziano), ripassando le cose da portare, quelle che stiamo dimenticando, le parole in spagnolo…. e loro, loro che fanno capolino ad ogni pensiero portando con sé un concentrato di dubbi, domande, pensieri e fantasie che ci hanno accompagnato per mesi. Dopodomani li incontriamo davvero?! Dal vivo?!
Il tempo in questo periodo non è passato lentamente, anzi direi che i giorni sono andati avanti decisi, ma allo stesso tempo sembrano passati eoni anche dagli eventi più vicini: l’ambasciata Colombiana era solo settimana scorsa, eppure sembra un anno. L’incontro di giovedì scorso alle Radici e le Ali… idem.
Anche il nostro stato emotivo è particolare, strano, non siamo nervosi, ma, in mancanza di termini migliori, direi che siamo emotivamente stressati o qualcosa del genere.
E intanto l’incontro si avvicina…

-7: anche l’INPS è sistemato

E adesso da che parte inizio? Il primo messaggio, le prime righe su una pagina bianca sono un’enorme responsabilità. Fino a che la pagina è vuota contiene, in potenza, tutte le possibili storie. Fino a che la pagina è vuota chi scrive si può considerare, non a torto, il migliore scrittore. E’ solo dopo aver tolto gli spazi bianchi per far posto alle lettere che viene colpito dalla dura realtà. Questa pagina bianca però non è solo l’inizio di questa sezione del sito (una sezione non particolarmente testata e un po’ ballerina), ma dovrà contenere l’inizio della nostra vita a 4. Tra sette giorni non saremo più solo io e Ale, ma Juan, Mariana, Ale e Max.
Inizierò a spiegare perchè questa sezione si intitola c’era due volte. Molte storie iniziano con “c’era una volta”, questa inizia invece in due posti distinti, lontani tra loro, dove si parlano lingue diverse, dove le persone mangiano cose diverse, dove parlano di cose diverse (anche se spesso in tutt’e due i posti si parla di calcio). E la storia continua per un po’ su questi due binari che sono destinati ad incontrarsi il 6 giugno 2008 per diventare una sola. Si capiva già e non era il caso di spiegarlo? Be’ ma da che parte iniziavo allora?
Lo scopo di queste pagine è doppio (tempo ed energie permettendo): da una parte comunicare con tutti i nostri amici e parenti quello che succederà mentre siamo in Colombia, dall’altra registrare il nostro viaggio e la storia di “c’era due volte”, perchè col tempo non si perdano quei particolari, quelle emozioni, quei momenti che riempiono la vita di tutti i giorni.

-7 questa mattina c’è stato l’ultimo incontro/scontro con l’INPS. Anche oggi l’impiegato allo sportello mi ha “sbarilato” a un’impiegata di un ufficio interno. Dopo circa un’ora finivo di compilare tutti i moduli (tutti in duplice copia) e l’impiegata mi diceva che avrei dovuto portare una lettera di Ale. “Non dovrò tornare anche domani?!”. L’impiegata ci pensa bene e poi mi accontenta: “Se vuole può mandare un fax”.
Domani invece Ale dovrà tornare a Milano, all’ambasciata perchè hanno sbagliato a indicare sul suo visto il numero del suo passaporto.
E’ difficile descrivere le emozioni di questi giorni. La fifetta è probabilmente la nota ricorrente che combatte con la voglia di partire subito. “Tra 7 giorni?? Ma non siamo ancora pronti!”. Ci sono poi tutte le cose che si accumulano negli ultimi giorni, per quanto siamo stati bravi a non rimandare e a evadere tutto al più presto, restano comunque impegni già presi e attività che dovevano essere svolte comunque adesso che intasano e prendono ogni secondo libero.
E intanto loro ci guardano e ci sorridono, rassicuranti da tutte le loro foto che abbiamo in casa e sembrano dire “su, su, fate gli adulti. Noi ne abbiamo passate ben di peggio, abbiamo molta, ma molta più paura di voi, eppure siamo qui che sorridiamo e vi stiamo aspettando”.