Da che parte iniziamo? O, come direbbe un noto presentatore, “La busta 1, la 2 o la trre?” Iniziamo dalla buona notizia: Juan oggi ha imparato ad andare in bicicletta. Si potrebbe aggiungere: così di botto, se non fosse che aveva già provato un paio di volte. Però è stato spettacolare vederlo sulla bicicletta percorrere tratti sempre più lunghi senza bisogno di sostegno fino a che è riuscito a fare tutto.
Però andiamo con ordine. Sulla bicicletta dei cugini aveva già provato ad andare, ma sempre con qualcuno di noi che gli teneva il sellino per non farlo cadere. La nonna Carla, profeticamente, diceva: “con la voglia che ha di andare in bici, in quattro e quattro otto impara sicuro”.
Ieri Ale gli ha detto: ricordati domani che ti facciamo vedere la tua bicicletta (ereditata da un cugino appunto e senza pedali). E lui, puntuale, questa mattina ha chiesto di andare in cantina per vederla.
E’ stato però necessario partire alla ricerca dei pedali. Questo pomeriggio abbiamo visitato Auchan, Decathlon e Bossi senza successo. Tutti avevano pedali con la vite più grande. Alla fine abbiamo ripiegato su un ciclista, il mitico “Cicli Oliva” che per la modica cifra di 6€ ci ha spacciato due pedalini della giusta misura.
A casa li abbiamo montati e lui è partito subito alla volta del parcheggio, con io che correvo ansimando, sudando e, malgrado tutto, sorridendo. Il primo giro è andato bene: lo lasciavo e lui percorreva qualche metro prima che dovessi “acchiapparlo” per evitare che cadesse.
Poi è rientrato a casa della nonna chiedendo di mettere le rotelle… ecco che la sua insicurezza, l’autostima inesistente stavano per togliergli la possibilità di raggiungere questo traguardo. Per fortuna non cedo alle richieste, anzi dopo poco è lui a dire “facciamo vedere alla mamma come vado in bicicletta”.
E così, mentre la mamma ci osserva (lui in bici e io sempre dietro di corsa con la mia strisciolina di sudore alle spalle), lui “spicca il volo”, percorre prima 5, poi 10m da solo, poi fa tutto il parcheggio, riesce anche a curvare da solo… Un’apoteosi. Rientra nel cancello con un sorriso trionfale sul viso!
Incomprensioni
In uno dei mille seminari a cui siamo stati, il relatore asseriva che in un gruppo di adolescenti adottati nessuno si sentiva capito dai propri ado-genitori.
Ho sempre letto questa affermazione, almeno fino a prima dello scorso giugno, come l’impossibilità per chi non ha vissuto in prima persona da bambino l’abbandono dei propri genitori, di capire cosa vuol dire questo. L’impossibilità di capire, senza aver vissuto, questo grande vuoto come la maggior parte degli adottivi descrive questa sensazione.
Si, non lo posso capire, pensavo, però mi posso avvicinare, posso essere vicino… insomma nel mio mondo razionale anche questo aspetto era stato addomesticato e incasellato.
Da quando sono papà con Juan e Mariana il mio mondo razionale ha subito un bello scossone e tutti i cassettini si sono rovesciati. E questa cosa, dell’incomprensione, ha preso un’altra dimensione, molto più pervasiva.
Quando li guardo nei momenti in cui sono adombrati, arrabbiati, scuri e tutte le altre sfumature possibili e immaginabili, non li capisco. Non c’è niente da fare: non so cosa stanno pensando, cosa è meglio fare. Sono lì che difendo le posizioni del bravo genitore-educatore, pensando che la coerenza educativa e le regole su cui ci siamo accordati sono le cose migliori perché i nostri figli possano crescere bene e mi rendo conto che dietro il loro silenzio imbronciato si può nascondere … qualsiasi cosa. E’ un capriccio? E’ un riflesso del loro dolore? E’ il loro dolore primario? Faccio bene? Faccio male? Magari è una cosa su cui posso retrocedere per questa volta?
Di riflesso stiamo sperimentando l’incomprensione noi come genitori adottivi, nelle nostre fatiche. Probabilmente è la voglia delle persone di “tranquillizzare” o forse di “normalizzare”, ma spesso ci sentiamo dire che i nostri figli si comportano come tutti i bambini, che i nostri problemi sono quelli di tutti i genitori. Sentirci dire che il problema della lingua dopotutto ce l’hanno anche i bio-genitori con i neonati è esemplificativo di quello che voglio dire. Noi siamo ado-genitori e non abbiamo esperienze bio-genitoriale, quindi, di prima persona non possiamo dire che differenze ci siano. Però è vero anche il viceversa: i bio-genitori (quelli che abbiamo sentito) non hanno ado-esperienza. Dalla nostra abbiamo la parola degli esperti che ci dicono che l’ado-percorso ha maggiori difficoltà per tutta una serie di motivi e abbiamo anche la nostra esperienza di bio-figli e le nostre osservazioni sui figli di parenti e amici (certo sono osservazioni dall’esterno, quindi da prendere con le dovute precauzioni). E’ vero che Juan e Mariana sono bambini e come tutti i bambini hanno certi comportamenti, certe esigenze e certe reazioni, ma è anche vero che hanno una storia tragica alle spalle, e che questa storia ha lasciato dei segni e che questi segni si vedono nei comportamenti, nelle esigenze e nelle reazioni.
Non è tutto qui, c’è questa operazione di “salvataggio” della dimensione famigliare che non è affatto indolore. Strappati al proprio paese, alla famiglia sostituta, alla propria cultura catapultati con due perfetti sconosciuti, incomprensibili, per molti versi alieni. Anche questo strappo ricucito non può non emergere nei comportamenti, nelle esigenze e nelle reazioni.
Fine dello sfogo 🙂
Fino a questa mattina Juan aveva una macchinina di Lego con su due omini Lego che diceva essere Mamà e Papà. E se li portava in giro, li metteva a tavola, ieri sera li ha fatti addormentare sotto ad una coperta, li faceva baciare… Oggi avremmo voluto fotografare quest’opera, ma purtroppo non ha retto ad un malumore passeggero del suo autore.
Un grazie speciale a Nadia e Paolo che ci hanno lasciato il primo commento per Juan e Mariana, i nostri eroi.
Il bravo vasaio… c’è voluto del bello e del buono per arrivare a questo punto, ma poi si è divertito |
ed una volta asciutti i vasi vanno dipinti, insieme a dita, sedie, tavolo e genitori |
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Ed ecco Juan poco prima del grande passo. |