Tag: adozione

Soddisfazioni…

…quando tuo figlio canticchia la sigla di Gundam senza averne mai visto i cartoni.

Non dire gatto se non l’hai nel sacco. Però se gli hai messo il didò sulla coda…
Mariana… ehm… non siamo proprio a Salsomaggiore.

PS. Abbiamo raccolto la prima parte del blog in un unico file PDF di oltre 9M. Così chi vuol leggere dall’inizio non deve andare avanti e indietro con il browser.

Hai voluto la bicicletta? E i pedali?

Da che parte iniziamo? O, come direbbe un noto presentatore, “La busta 1, la 2 o la trre?” Iniziamo dalla buona notizia: Juan oggi ha imparato ad andare in bicicletta. Si potrebbe aggiungere: così di botto, se non fosse che aveva già provato un paio di volte. Però è stato spettacolare vederlo sulla bicicletta percorrere tratti sempre più lunghi senza bisogno di sostegno fino a che è riuscito a fare tutto.
Però andiamo con ordine. Sulla bicicletta dei cugini aveva già provato ad andare, ma sempre con qualcuno di noi che gli teneva il sellino per non farlo cadere. La nonna Carla, profeticamente, diceva: “con la voglia che ha di andare in bici, in quattro e quattro otto impara sicuro”.
Ieri Ale gli ha detto: ricordati domani che ti facciamo vedere la tua bicicletta (ereditata da un cugino appunto e senza pedali). E lui, puntuale, questa mattina ha chiesto di andare in cantina per vederla.
E’ stato però necessario partire alla ricerca dei pedali. Questo pomeriggio abbiamo visitato Auchan, Decathlon e Bossi senza successo. Tutti avevano pedali con la vite più grande. Alla fine abbiamo ripiegato su un ciclista, il mitico “Cicli Oliva” che per la modica cifra di 6€ ci ha spacciato due pedalini della giusta misura.
A casa li abbiamo montati e lui è partito subito alla volta del parcheggio, con io che correvo ansimando, sudando e, malgrado tutto, sorridendo. Il primo giro è andato bene: lo lasciavo e lui percorreva qualche metro prima che dovessi “acchiapparlo” per evitare che cadesse.
Poi è rientrato a casa della nonna chiedendo di mettere le rotelle… ecco che la sua insicurezza, l’autostima inesistente stavano per togliergli la possibilità di raggiungere questo traguardo. Per fortuna non cedo alle richieste, anzi dopo poco è lui a dire “facciamo vedere alla mamma come vado in bicicletta”.
E così, mentre la mamma ci osserva (lui in bici e io sempre dietro di corsa con la mia strisciolina di sudore alle spalle), lui “spicca il volo”, percorre prima 5, poi 10m da solo, poi fa tutto il parcheggio, riesce anche a curvare da solo… Un’apoteosi. Rientra nel cancello con un sorriso trionfale sul viso!

Incomprensioni
In uno dei mille seminari a cui siamo stati, il relatore asseriva che in un gruppo di adolescenti adottati nessuno si sentiva capito dai propri ado-genitori.
Ho sempre letto questa affermazione, almeno fino a prima dello scorso giugno, come l’impossibilità per chi non ha vissuto in prima persona da bambino l’abbandono dei propri genitori, di capire cosa vuol dire questo. L’impossibilità di capire, senza aver vissuto, questo grande vuoto come la maggior parte degli adottivi descrive questa sensazione.
Si, non lo posso capire, pensavo, però mi posso avvicinare, posso essere vicino… insomma nel mio mondo razionale anche questo aspetto era stato addomesticato e incasellato.
Da quando sono papà con Juan e Mariana il mio mondo razionale ha subito un bello scossone e tutti i cassettini si sono rovesciati. E questa cosa, dell’incomprensione, ha preso un’altra dimensione, molto più pervasiva.
Quando li guardo nei momenti in cui sono adombrati, arrabbiati, scuri e tutte le altre sfumature possibili e immaginabili, non li capisco. Non c’è niente da fare: non so cosa stanno pensando, cosa è meglio fare. Sono lì che difendo le posizioni del bravo genitore-educatore, pensando che la coerenza educativa e le regole su cui ci siamo accordati sono le cose migliori perché i nostri figli possano crescere bene e mi rendo conto che dietro il loro silenzio imbronciato si può nascondere … qualsiasi cosa. E’ un capriccio? E’ un riflesso del loro dolore? E’ il loro dolore primario? Faccio bene? Faccio male? Magari è una cosa su cui posso retrocedere per questa volta?

Di riflesso stiamo sperimentando l’incomprensione noi come genitori adottivi, nelle nostre fatiche. Probabilmente è la voglia delle persone di “tranquillizzare” o forse di “normalizzare”, ma spesso ci sentiamo dire che i nostri figli si comportano come tutti i bambini, che i nostri problemi sono quelli di tutti i genitori. Sentirci dire che il problema della lingua dopotutto ce l’hanno anche i bio-genitori con i neonati è esemplificativo di quello che voglio dire. Noi siamo ado-genitori e non abbiamo esperienze bio-genitoriale, quindi, di prima persona non possiamo dire che differenze ci siano. Però è vero anche il viceversa: i bio-genitori (quelli che abbiamo sentito) non hanno ado-esperienza. Dalla nostra abbiamo la parola degli esperti che ci dicono che l’ado-percorso ha maggiori difficoltà per tutta una serie di motivi e abbiamo anche la nostra esperienza di bio-figli e le nostre osservazioni sui figli di parenti e amici (certo sono osservazioni dall’esterno, quindi da prendere con le dovute precauzioni). E’ vero che Juan e Mariana sono bambini e come tutti i bambini hanno certi comportamenti, certe esigenze e certe reazioni, ma è anche vero che hanno una storia tragica alle spalle, e che questa storia ha lasciato dei segni e che questi segni si vedono nei comportamenti, nelle esigenze e nelle reazioni.
Non è tutto qui, c’è questa operazione di “salvataggio” della dimensione famigliare che non è affatto indolore. Strappati al proprio paese, alla famiglia sostituta, alla propria cultura catapultati con due perfetti sconosciuti, incomprensibili, per molti versi alieni. Anche questo strappo ricucito non può non emergere nei comportamenti, nelle esigenze e nelle reazioni.
Fine dello sfogo 🙂

Fino a questa mattina Juan aveva una macchinina di Lego con su due omini Lego che diceva essere Mamà e Papà. E se li portava in giro, li metteva a tavola, ieri sera li ha fatti addormentare sotto ad una coperta, li faceva baciare… Oggi avremmo voluto fotografare quest’opera, ma purtroppo non ha retto ad un malumore passeggero del suo autore.

Un grazie speciale a Nadia e Paolo che ci hanno lasciato il primo commento per Juan e Mariana, i nostri eroi.

Il bravo vasaio… c’è voluto del bello e del buono per arrivare a questo punto, ma poi si è divertito
ed una volta asciutti i vasi vanno dipinti, insieme a dita, sedie, tavolo e genitori
Ed ecco Juan poco prima del grande passo.

La seconda settimana già scollina

Eh sì, domani sono già due settimane che siamo rimpatriati! E io sono a metà della prima settimana di lavoro dal rientro.Tante cose sono cambiate dalla Colombia. Prima di tutto non siamo più … in vacanza. Cioè non è che fossimo in Vacanza (con la V maiuscola), ma comunque eravamo in una pensione dove non dovevamo preoccuparci delle Faccende Quotidiane come: preparare da mangiare, fare la spesa, pulire la casa, lavare i vestiti… insomma le cose che tutti facciamo nella quotidianità.
L’altro aspetto di grande cambiamento, a cui avevamo già accennato, è relativo a Juan e Mariana. Adesso sembra che stiano meglio, molto meglio. Probabilmente più tranquilli, più sicuri, più famiglia. Le crisi sono sparite del tutto per lasciare posto a sporadiche opposizioni, rari lanci di oggetti, qualche impuntamento… insomma normali cose da bambini senza dentro tutta la rabbia e la drammaticità e la … bruttura che abbiamo visto il mese scorso.
L’idea che ci siamo fatti è che Juan abbia avuto delle conferme che probabilmente gli mancavano e lo rendevano nervoso e insicuro, pronto a metterci alla prova su tutto. La conferma principale è che adesso veramente siamo in Italia, a casa, proprio come ci aveva chiesto il giorno dell’incontro “Quando andiamo in Italia?” Probabilmente nel suo desiderio di allontanarsi, di avere una Famiglia, di cambiare vita c’era l’angoscia del salto nel buio, c’era la paura di rimanere in Colombia, di essere rifiutato anche da noi.
Siamo convinti che queste cose non spariscono nel giro di una notte e che in una forma o nell’altra si riaffacceranno nella nostra vita famigliare. Solo speriamo che siano addomesticate dal benessere, nel senso di “stare bene”, che vediamo in Juan e Mariana in questi giorni.
Iniziamo a vedere qualche regressione. Forse c’erano anche prima, ma era difficile distinguerle nella tempesta emotiva a cui eravamo sottoposti. Le regressioni sono i “recuperi” delle cose che sono mancate che si manifestano durante il periodo di attaccamento, cioè quel periodo in cui i bambini diventano figli.
Ad esempio spessissimo Juan vuole essere preso in braccio, anche per andare da una stanza all’altra e, cosa stupenda, si fa prendere in braccio anche da Ale. Tutt’e due vogliono spesso essere imboccati con la scusa che non gli piace quello che si trovano nel piatto (è chiaramente una scusa perchè alla fine sbafano tutto). Anzi, a proposito di cibo, i problemi di alimentazione di Juan sono praticamente scomparsi, addirittura ci sembra, confrontando le foto di adesso con quelle dei primi giorni, che sia un pochino più “pieno” in viso.
Ci chiedono di essere vestiti, di essere lavati… insomma tutto quello che probabilmente è mancato loro fino ad oggi e che sicuramente è mancato con questi due nuovi genitori.
Domenica scorsa abbiamo fatto la festa di benvenuto con tutta la famiglia… 24 persone, dai 6 mesi ai 70 anni. Loro sono stati al centro dell’attenzione e si sono divertiti giocando con i cuginetti e gli zii.
Da lunedì ho ricominciato a lavorare. Eravamo un po’ preoccupati per questo cambiamento sia perchè era un cambiamento, sia perchè Ale si trovava a dover gestire il dinamico duo, in particolare Juan. A metà giornata ho chiamato casa con una certa apprensione per verificare se tutto andava bene. Mi ha risposto Mariana che poi mi ha passato Juan che poi mi ha passato Ale e alla fine ha voluto parlare ancora Mariana. Tutto bene, anzi mi stavano preparando una sorpresa… che Mariana non è riuscita a tenere completamente segreta.
La sera mi hanno accolto festosamente e sorpresa mi hanno mostrato la fattoria fatta con il Didò!
Juan adesso abbraccia regolarmente Ale. Anzi quando siamo insieme ci abbraccia tutt’e due insieme, prende le nostre mani, le intreccia e le abbraccia con un’espressione beata sul volto. L’ultima trovata è quella di prendere le nostre teste e gentilmente girarle in modo che ci guardiamo, invitandoci a baciarci. E lui ridacchia, chiude gli occhi, la fronte distesa, rilassata, l’espressione di gioia, assaporando questo momento a fondo, sorride sereno, di quel sorriso e di quella serenità che sono la benedizione dei genitori.
Non possiamo non sentirci orgogliosi dei nostri bimbi, cose che già si vedevano, ma ora che hanno trovato una loro serenità o quantomeno un certo equilibrio, esplodono evidenti in tutta la loro bellezza. Mariana che chiede scusa quando inavvertitamente ci prende dentro, Juan che mi chiede di ringraziare i colleghi per i regali che hanno fatto loro, ancora Juan che rifiuta le patatine dallo zio dopo che gli ho detto di non mangiarne più, Mariana che ti offre il suo cibo e Juan che mette da parte le caramelle per me e Ale… forse un po’ soldatini? Può essere, ma pensiamo che questa sia la loro natura e che quando supereranno il fardello che la vita ha dato loro fioriranno in tutto il loro splendore.

La torta della festa con le bandiere della Colombia e dell’Italia colorate da Juan e Mariana
Ecco la “sorpresa” del primo giorno di lavoro.

E io quando vado a scuola?

Oggi Juan ci ha chiesto: “quando vado a scuola?” e noi: “be’, quando sarà il momento, prima magari impari un po’ di italiano…”. Forse non è stata la risposta migliore, ma questo è un difetto comune delle improvvisazioni. Lui si è scurito, intristito ed è rimasto zitto e corrucciato. Voleva andare subito? Non voleva andare? L’idea che prima deve imparare un po’ di italiano gli è sembrata un ostacolo insormontabile? Dopo una decina di minuti gli è passata, senza nessuna risposta. Abituati con il passaporto in un’ora ed il visto in un giorno ci siamo scontrati con la burocrazia italiana. Obiettivo: il pediatra. Per avere il pediatra devi fare la residenza in comune, ma non puoi farla finchè non chiedi il codice fiscale. In comune assicurano, supportati anche da una pagina del sito del ministero delle finanze, che è sufficiente portare il passaporto dei bambini. Però ora è chiuso, bisogna aspettare domani. All’ufficio delle imposte invece dicono che è una dicitura un po’ generica e che servono tutta una serie di documenti che fortunatamente abbiamo. Dicono anche che in realtà ci stanno facendo un favore perchè avrebbero bisogno del documento rilasciato dal tribunale italiano che dice che la sentenza colombiana di adozione è valida.
Torniamo in comune con il codice fiscale, ma non c’è più la persona con cui abbiamo parlato ieri. La nuova impiegata chiede i codici fiscali e poi inizia domande e accertamenti e ci tiene una buona ora per poi alla fine non fare nulla di più se non fissarci la visita dei vigili per la verifica della residenza.
Purtroppo adesso è tardi e l’ufficio ASL è chiuso. Però non possiamo tornare domani: il pediatra si può scegliere solo tre giorni alla settimana. A dopodomani.
In tribunale a Milano le cose non vanno meglio. Al primo incontro mi richiedono una serie di fotocopie che non sono presenti nella busta che mi ha dato il buon assistente di Pilar in Colombia. Ci mancherebbe altro, ma visto che sono tutte copie della documentazione che già consegno, non potrebbero farle loro? No.
In Colombia, tra l’altro, tutti i tribunali hanno una saletta dove, a pagamento, si possono fare fotocopie, comprare cartelline, buste, insomma tutte le cose di cui si può avere bisogno li al momento. A Milano non mi sanno nemmeno indicare dove posso andare a farle le fotocopie.
Torno dopo mezz’ora abbondante con 7€ in meno (!) e consegno tutto all’impiegata. Quando verrà pronto il documento (che deve dire semplicemente: “la sentenza colombiana è valida anche in Italia”)? “Tra qualche mese”.
Per fortuna per avere un pediatra abbiamo impiegato solo una settimana.

Estamos Accà (siamo qui)

Come promesso rieccoci di tanto in tanto. Prima di tutto vogliamo dire: le cose vanno meglio, molto meglio. Da quando siamo tornati (cioè giovedì sera scorso) di crisi vere e proprie, come quelle che leggiamo di Medellin o che ci ricordiamo da Bogotà, nemmeno l’ombra. Ci sono i capriccetti, le storie, le menate, però come per tutti i bambini, come per tutte le famiglie che conosciamo (nostre comprese). Juan e Mariana sono cambiati! Sono più sereni, ridono, chiedono, giocano. Giocano davvero: tutt’e due e da soli, con noi, con i giocattoli, con i colori. Non crolla il mondo per un rifiuto. Le nostre richieste prima o poi possono persino essere accolte. Insomma un’altra vita.Anche i rapporti stanno un po’ crescendo: Juan anche se ancora ha un rapporto preferenziale con me, comunque si relaziona con Ale. Oggi è già il secondo giorno che si fa fare il bagno da lei, si è fatto prendere in braccio… ma anche nei gesti più semplici, per vestirsi, per mettere la cintura in auto, per farsi imboccare.
Analogamente per Mariana stanno finendo le ripetizioni-rassicuranti e quindi è più disposta a sciogliere la sua relazione di esclusività con Ale, includendo anche me come genitore. Tra ieri e oggi poi mi ha cercato spessissimo e quando eravamo insieme continuava a darmi i bacini.
Le cose da affinare sono quelle un po’ più semplici di tutte le famiglie: gli orari – cercare di cenare abbastanza presto così da mettere i figli a letto per le 21:00 e riuscire ad avere un po’ di tempo per noi. Il problema è che siamo appena tornati da 42gg di vacanza forzata e a parte i contatti sociali anche la casa esige il suo prezzo (soprattutto la TV e la tapparella rotte, per non parlare di quello che ci ha tamponato oggi in auto per fortuna senza che nessuno si facesse male).
Questa sera situazione da manuale, Juan ha voluto giocare ad un gioco tipo “giro dell’oca” tutti insieme. Visto però la partenza poco brillante ha iniziato a lamentarsi tipo guaito, a cercare di rifiutare il proprio turno, a portarsi indietro il proprio segnalino, a regalare le carte bonus… Dico da manuale perché ci ha richiamato immediatamente uno dei vari corsi, in cui la spiegazione data per questo tipo di comportamenti è come segue. A causa della bassissima autostima che hanno generalmente i bambini abbandonati per loro è una frustrazione insopportabile il perdere a un gioco. Viene interpretato come una convalida della loro disistima. Dal momento che perdere è insopportabile di solito ci sono due strategie: a) non giocare (se non si gioca non si può perdere) e b) perdere di proposito (ho perso, ma perché l’ho deciso io).
Secondo questa interpretazione, il filo logico dei pensieri sarebbe qualcosa del genere:
“Gioco perché mi diverto, però se perdo vuol dire che sono veramente una nullità, anzi peggio. Non posso tollerare questa frustrazione, quindi se vedo che non sto vincendo, che c’è il pericolo catastrofico di perdere… non posso permettere che questo accada, devo avere un’altra spiegazione… faccio in modo di perdere, così almeno se perdo è perché l’ho deciso io, non perché sono peggio di una nullità… oppure faccio in modo di tirare in lungo, di sabotare il gioco, così non vince nessuno e nessuno perde”.

Si nota poco, ma Mariana è cinematicamente imbronciatissima
“ehi! Vola davvero!”
Colombiani a Busto: “girati che mamà ci fa la foto”

Il giorno dopo… l’arrivo

Non è nostra intenzione fare un reality-show della rinnovata famiglia Pagani-Crespi, ma nemmeno mollare qui il sito. Cambieremo un po’, scrivendo le cose più importanti, interessanti, anche perchè speriamo che adesso la situazione vada normalizzandosi. Le crisi, sempre più rare, così come le opposizioni sempre più deboli, meno convinte, gli sprazzi di serenità più frequenti, insomma tutto sembrerebbe indicare che questa è la direzione (oppure indicano la calma prima della tempesta).Idem per quanto riguarda le foto, metteremo solo quelle più significative per la nostra famiglia (vi risparmierò la foto del mio intervento alla spina del portatile per rimettere quella italiana).
Detto ciò, oggi è stata una giornata tranquilla, quasi sonnecchiosa. Cioè questa mattina molto sonnecchiosa, visto che le 10:00am del nostro orologio biologico, sintonizzato sul fuso colombiano, corrispondono alle 3:00 di notte.
Una volta operativi abbiamo tentato di regolarizzare la posizione dei nostri piccoli immigrati senza troppo successo. Al comune infatti non vengono registrati all’anagrafe senza il codice fiscale che rilasciano all’ufficio delle imposte dirette che è a Busto e che, a quest’ora, è chiuso.
Nel primo pomeriggio Juan tenta di vedere la TV e, dopo aver spippolato tutti i canali disponibili, mi chiede perplesso: “papi, dove sono i power ranger?”. “Sono rimasti in Colombia” mi verrebbe da rispondere, ma opto per un più soft: “qui non ci sono i canali che c’erano in Colombia, adesso non ci sono i Power Ranger”. Poco convinto tenta ancora e finisce con il lasciare la tele su Canale Italia dove trasmettono 24 ore su 24 la “Festa del Paese”, quella trasmissione dove ci sono i canti popolari e arzilli vecchietti che ballano. Ovviamente l’interesse di Juan per questa trasmissione è circa zero, infatti dopo pochi secondi se ne va a giocare.
Per il resto hanno giocato, niente capricci particolari, insomma due bimbi modello. Questa sera, dopocena, cerchiamo di vedere un altro pezzo di “Bianca e Bernie”, dopo pochi secondi la tv emette odore di bruciato e con un sonoro “clock” si spegne… speriamo che sia riparabile e che non sia il termine di anni di onorato servizio. Così niente TV e niente videogames.
Se non fosse che il tempo trascorso è così poco, saremmo tentati di pensare, come per l’esperienza di Baeti, che ci abbiano scambiato i figli all’aeroporto (quello di Malpensa, sia ben chiaro).

CASA

Che strano posto: per noi “casa”, dove abbiamo vissuto per 11 anni e mezzo, dove abbiamo costruito, progettato, riso, pianto… insomma dove Viviamo con la V maiuscola. Per loro un posto nuovo, strano, sconosciuto, pieno di sorprese, eppure anche per loro, in mancanza di un altro posto a cui associare questo termine, “casa”.Finalmente siamo arrivati, il tempo infinito della permanenza in Colombia, sudato fino all’ultimo minuto, è alle nostre spalle. Questo è il terzo cambiamento che Juan David e Mariana affrontano con noi. Ogni cambiamento porta problemi e ansie, ma anche opportunità di ricominciare, di correggere i nostri errori e migliorarci con un salto.
Ecco quello che scrivevamo ieri sera, prima di cercare di addormentarci, sull’aereo:

Certi appuntamenti sono un po’ come una droga, non riesci a perderli. E l’appuntamento serale con il blog é uno di questi. Anche se siamo a millanta e piú metri sull’Atlantico.
Come é andata oggi? Tutto sommato bene. Questa mattina ci siamo alzati ancora alle 7:30 perché il nostro avvocato sarebbe venuta a trovarci alle 9:00.
Alle 10:00 sono andato con l’aiutante-avvocato all’ambasciata italiana. All’arrivo, alcuni attimi di panico perché l’impiegato non trovava i nostri visti. L’aiuto avvocato, un colombiano placido, cordiale e sempre di buon umore, con la sua calma mi ha subito tranquillizato, fugando le mie nefaste visioni di aerei che partivano senza di noi.
Capita a volte che i visti non siano pronti e che sia necessario aspettare un po’. Per noi “un po'” é equivaso a un’ora e mezza.
Torniamo a El Portal dove chiudiamo le valige e mangiamo. I saluti sono commoventi. Comunque c’é un feeling con le altre famiglie con cui abbiamo condiviso non solo questi dieci giorni, ma una scelta, un desiderio, una storia e tante difficoltá.
Ale non regge alle lacrime e, in taxi, Mariana la consola tenendole la mano e cantando a ripetizione “vamos a Italia!”. Juan é piú silenzioso, cioé MOLTO piú silenzioso: non parla del tutto e guarda fuori dal finestrino.
All’aeroporto sbrighiamo le formalitá. Quello che l’ente non ti dice: 1) per il passaporto ci vuole il bollo del rinnovo, altrimenti all’ambasciata devi fare una coda interminabile per comprarlo e 2) la tassa aeroportuale che bisogna pagare per ogni colombiano sopra i 5 anni che espatria deve essere pagata in contanti.
I controlli sono abbastanza severi: i nostri zainetti vengono svuotati e esaminati e noi stessi siamo perquisiti.
L’attesa in sala d’attesa é sempre quella: ogni 30 secondi Juan chiede se é giá ora di partire fino al momento in cui annunciano l’imbarco. Fortunatamente le famiglie con bambini hanno il diritto di precedenza e saliamo abbastanza in fretta.
Vediamo scorrere fuori dagli obló, sempre piú rapidamente la pista, l’aeroporto, le case basse, le serre, il verde delle montagne, Bogotá e la Colombia.
Siamo partiti.
Alla cena ammiriamo come i nostri bimbi siano all’opposto: da una parte Mariana che ride e scherza con la mamma mentre mangia e guarda i cartoni. Dall’altra Juan con il muso che guarda in cagnesco la cena che ha deciso di non toccare per partito preso e la tv spenta per castigo.
Speriamo che con quello che ci possiamo mettere noi e quello che ci consiglieranno gli psicologi, anche Juan riesca a capire che questi atteggiamenti gli impediscono di godersi la vita.
Adesso, mentre noi crolliamo dal sonno, Mariana é sveglissima, balla e canta, contribuendo a tenere sveglia quella parte dell’aereo, mentre Juan sta videogiocando con le cuffie e chiamandomi a gran voce ogni 3×2 (contribuendo a tenere altrettanto sveglia questa parte dell’aereo).

Parlare di risveglio implica che prima c’è stato un sonno, quindi per questa mattina è un termine improprio. Comunque verso le 2 di notte colombiane Juan mi chiama battendomi sulla spalla per chiedermi qualcosa sulla tv. Borbotto qualcosa, probabilmente di inintelligibile anche in italiano, ma dopo un po’ lui torna alla carica.
Anche Ale si sveglia presto tra la scomodità del posto in aereo, le luci e il vocione di Juan… come fa un vocione così profondo a stare in un cispolino così piccolo… mah!?
Il volo procede senza intoppi e atterriamo a Parigi. Dopo un’attesa un po’ movimentata risaliamo su un altro aereo e questa volta davvero per l’Italia.
Come pranzo viene servito mezzo tramezzino (un traquartino?). Il dettaglio è importante perchè il povero Juan, al momento dell’atterraggio… senza entrare troppo nei particolari, vuoi la tensione, vuoi che l’aereo traballava un po’, vuoi il freddo, sta male.
In questo momento nessuno dell’equipaggio si muove e così cerco di pulirlo alla bell’e meglio cercando di resistere a mia volta. All’atterraggio Ale mi dà il cambio facendo il grosso del lavoro.
Dopo aver recuperato le valige usciamo e troviamo i nonni, zio Maurizio e cugina Jessica ad attenderci con un cartellone. Baci, abbracci, risa e, come da istruzioni, tutti tranquilli. Grazie anche per questo!
Mariana viene presa in braccio da Jessica e scocca subito un feeling tanto che si scambiano gli occhiali. Juan mi aiuta con il carrello (o meglio aiuta il peso del carrello facendosi trasportare), mentre andiamo a cercare dove diavolo si deve consegnare la busta etichettata “Aeroporto Italiano” che ci hanno dato all’ambasciata italiana in Colombia.
Il dilemma non si risolve se non con una telefonata al CIAI dove ci dicono che se nessuno vuole la busta, possiamo anche tenerla noi.
Nel parcheggio Juan continua a chiedere se “è questa la nostra macchina?” ad ogni macchina grigia un po’ grossa che incontra.
L’ingresso a casa è praticamente come ce lo siamo sempre immaginato: i bambini felici che entrano cercando l’Alice. L’unico particolare diverso è che snobbano la cicogna con i loro nomi che abbiamo appeso alla porta. Ma c’è così tanta roba da scoprire. I regali, la casa, gli armadi, il gatto, i vestiti… un mondo intero.
Alla cena (lasagne! Cucinate dalla mamma di Ale) siamo particolarmente indulgenti con i piccoli che ne avanzano metà (indulgenti si, ma comunque se le ritroveranno domani a pranzo nel piatto).
Anche l’allettamento fila ragionevolmente liscio e i pargoli si addormentano ragionevolmente sereni.
Siamo a un nuovo, ragionevole, inizio.

Finalmente si torna

Che giornata densa! Fino a questa mattina non sapevamo nulla a parte che forse sarebbe arrivata l’autorizzazione e questa sera siamo con le valige pronte.Domani alle 9:00 viene la referente a salutarci e a spiegarci le ultime cose. Alle 10:00 vado a ritirare il visto e verso le 13:30 saluteremo “El Portal” e andremo all’aeroporto.
Si chiude così un altro capitolo, piuttosto impegnativo della nostra vita. Ricco di momenti indimenticabili (a una buona metà dei quali aggiungerei “purtroppo”). Abbiamo conosciuto il paese dei nostri figli, un paese lontano da noi per geografia, per storia, per usi e costumi. Un paese fatto di estremi: città e natura, montagne altissime e clima tropicale, ricchezza e povertà, arretratezza e voglia di rivincita.
È una partenza particolare: per noi perché torniamo a casa, iniziamo la versione stabile della nostra famiglia a quattro. Per loro perché lasciano tutto quello che conoscono e con due semi-sconosciuti (che, dal loro punto di vista, li hanno fatti penare non poco) se ne vanno in un posto ignoto, dove la gente parla una lingua che ancora capiscono poco e tutto è diverso e sconosciuto. Come prima richiesta impegnativa ai propri figli non è male.
Nella speranza che domani non ci sia un’escalation delle tensioni di questa sera (Juan si è addormentato alle 23:00) e che il volo sia tranquillo, ringraziamo ancora tutti quelli che ci hanno seguito fino a questo momento, non ci stancheremo di ripeterlo: ci avete dato una grande forza.
Qui Bogotà, passo e chiudo.

Si torna!!!

Al ritorno dall’ambasciata italiana, nella mail, un’ottima notizia: sono riusciti ad anticipare il volo a DOMANI!!! Oggi valige! Saremo quindi in Italia tutti e quattro dopodomani (il 17 luglio).Mariana è stata contentissima, tutta sorrisi e saltelli. Juan anche se è stato contento e sorpreso non ha dato segni evidenti di entusiasmo. Li capiamo tutt’e due.
Preso dalla foga sono andato a tagliarmi i capelli (no, non avevo fatto alcun voto). Mentre Ale, da ieri sera, è afona (no, non è andata ad alcuna partita di calcio, ha preso freddo).
Italia preparati: stiamo arrivando!