“Il Voyager I è stata la prima sonda spaziale inviata dalla erra (1977) verso i pianeti esterni al Sistema solare. Viaggiando alla velocità di circa 17km/s […] si sta allontanando dal Sistema solare, verso lo spazio interstellare.
Calcola quanto tempo impiegherebbe per raggiungere la stella a noi più vicina: Proxima Centauri, che dista da noi 4,2 anni luce. Ti sembra possibile che l’uomo, in futuro, possa visitare altri pianeti al di fuori del Sistema solare?”
Questo è il contenuto di un riquadro che si trova fuori dal testo principale al capitolo 17 del libro per le terze medie “Noi Scienziati 3”.
La prima risposta al problema, volendo essere scientifici fino in fondo, è che, nemmeno se andasse al doppio della velocità attuale arriverebbe mai su Proxima Centauri visto che sta andando in un’altra direzione. Quindi, visto che si tratta di un testo che ha l’obiettivo di insegnare il pensiero scientifico ai ragazzi, dovrebbe quantomeno cercare di essere rigoroso.
Ma questo non è quello che mi porta a scrivere di questo triste riquadro quanto la cupezza e la rassegnazione che può ispirare alle giovani menti. Da dove arrivano le nuove scoperte scientifiche e gli incredibili progressi tecnologici se non da dove nessuno pensava potessero arrivare?
A livello teorico ci sono almeno un paio di possibilità per arrivare velocemente là dove nessun uomo (o donna) è mai giunto prima. La prima è l’Alcubierre Drive – ispirata dai telefilm di Star Trek, questa teoria sviluppata da un fisico Messicano, ipotizza di distorcere lo spazio in modo che una “bolla” di spazio normale scivoli più veloce della luce. L’altro dispositivo classico è il Ponte di Einstein-Rose – una deformazione dello spazio tempo che crea una sorta di tunnel collegando due punti remoti dello spazio attraverso una scorciatoia.
Le difficoltà tecniche per entrambe queste soluzioni sono inimmaginabili al nostro livello di sviluppo tecnologico. Il nostro livello tecnologico è però inimmaginabile solo un centinaio di anni fa. Se avessimo dato retta ad Einstein, che pure non si poteva tacciare di vedute ristrette, non ci saremmo messi a cercare di captare le onde gravitazionali. Il grande scienziato infatti riteneva altamente improbabile che la tecnologia sarebbe un giorno stata capace di percepire di delle perturbazioni così piccole del continuun.
E allora perchè mettere questo falso spunto di riflessione che si aspetta la grigia risposta rinunciataria, dell’ovviamente non è possibile? Perchè tarpare le ali del pensiero creativo, dell’entusiasmo e della voglia di superare i limiti dei ragazzi di oggi e scienziati e ingegneri di domani?